Giovani in ascolto: non vacanza ma dono

MONDO. Di meno, molto di più. Calare i ritmi, sfrondare. Vestire panni diversi da quelli della presunta perfezione che, forse, ci vogliamo cucire addosso. Quale momento migliore, per farlo, se non quello riservato alle ferie? Vacanza.

Nel bel mezzo dell’estate, del nostro essere vacans (vuoto, libero da), ancora una volta sono i giovani a insegnarci qualcosa. Le storie che raccontiamo alle pagine 30 e 31 parlano di ragazzi che hanno scelto di scegliere controcorrente. Non la (scontata) corsa al Ferragosto infarcito di selfie e movida, semmai un tempo sospeso, ma messo a disposizione degli altri. Non mancano i ragazzi che, in queste settimane, hanno vissuto o stanno vivendo esperienze forti in terra di missione, accanto a coetanei con disabilità o, semplicemente - ma non scontato - su e giù per sentieri a sistemare ciò che altri hanno rovinato.

«Volevamo confrontarci con realtà meno fortunate della nostra e guadagnare consapevolezza rispetto a ciò che troppo spesso diamo per scontato», spiegano alcuni dei giovani protagonisti delle storie raccolte oggi nelle nostre pagine. Né santi né eroi, semmai fortunati di avere alle spalle una comunità e una famiglia

Che si tratti di ritinteggiare una scuola a oltre tremila metri di altitudine in un paesino disperso tra le Ande o accompagnare in bagno un cinquantenne scalmanato con un cromosoma in più che si rinchiuderà dentro la porta per infinite mezzore – lui campione di scherzi, e al mare ancora di più –, alla fine sono loro a stupirti: quando meno te l’aspetti, ci sono e dicono «Pronti, partiamo». Per Senigallia, per il Mozambico, al seguito dei loro curati o di associazioni storiche che hanno fatto grande il nome di Bergamo nel mondo della povertà e del sostegno ai fragili. E viene un po’ di timore a spendersi in questa riflessione, nel bel mezzo di giorni che non risparmiano fatti di cronaca ai limiti dell’incredibile. Eppure proprio in questo tempo di tredicenni al volante che falciano una passante e poi se ne vanno sereni al centro commerciale, è ora che si scorgono anche semi di speranza.

«Volevamo confrontarci con realtà meno fortunate della nostra e guadagnare consapevolezza rispetto a ciò che troppo spesso diamo per scontato», spiegano alcuni dei giovani protagonisti delle storie raccolte oggi nelle nostre pagine. Né santi né eroi, semmai fortunati di avere alle spalle una comunità e una famiglia. Che è già tanto, a volte. «Ci tenevamo a mostrare ai nostri figli che esiste una realtà molto diversa da quella in cui viviamo noi: se stanno sempre sul divano con il cellulare non se ne rendono conto», ammette candida una mamma che di mestiere fa il medico ed è appena rientrata dalla Tanzania. Con suo marito c’era stata già vent’anni fa, al «Villaggio della gioia» fondato da quel «grande» che era padre Fulgenzio Cortesi. Quest’anno ci è tornata anche con i loro tre figli. E viene da chiederci cosa ci facciano ragazzi di 17, 15 e 12 anni in mezzo a centinaia di orfani e suore. C’erano, e pare abbiano giocato tantissimo. La loro mamma spiega che tra i poveri «si impara anzitutto a come dare valore al tempo: noi siamo abituati ad andare sempre di corsa, qui invece i ritmi sono più lenti e la povertà insegna a dare il giusto valore al tempo». Una scala di priorità che, almeno per qualche settimana, lascia posto all’ascolto e al farsi prossimo, l’invito vero di questa giornata aperta al mistero dell’Assunzione di una giovane che fece spazio a un sì. Lo sta sperimentando in questi giorni anche un nutrito gruppo di giovani e poco più che trentenni partiti per qualche giorno di mare nelle Marche, alcuni con disabilità e gli altri pronti a imboccarli, se serve. L’hanno fatto gli adolescenti scesi a Scampia e nei quartieri più difficili di Palermo. Esperienze forti? «Tu fai, poi si vedrà», diceva qualcuno.

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