I Balcani senza pace, i pericoli in Europa

MONDO. Giudicare ciò che accade nell’Est Europa solo con le lenti delle colpe dell’Occidente non aiuta a comprendere le lacerazioni secolari che agitano quella parte del continente. L’Ovest ha compiuto errori ed ha sottovalutato la portata degli eventi ma le dinamiche messe in atto con la caduta del Muro di Berlino meritano un’analisi ben più profonda.

Lo scioglimento dell’Urss deciso da Mosca ha liberato dalla gabbia sovietica popoli costretti a stare insieme con la forza. La Russia ha avuto un breve, caotico assaggio della democrazia, per poi essere riportata in una nuova gabbia, quella dell’autocrazia reazionaria aperta da Vladimir Putin, ispirato da un’ideologia ultra nazionalista e revanscista. «La fine dell’Unione Sovietica è stata la più grande tragedia geopolitica del ‘900» ha detto in più occasioni il presidente russo. Un rimpianto per la potenza imperiale e per l’estensione geografica dell’Urss ma anche un programma di governo, messo in atto con la soppressione definitiva dell’indipendentismo ceceno nel 2009, con la conquista de facto di due regioni della Georgia nel 2008 e con l’obiettivo di annettere l’Ucraina o sue parti.

Un espansionismo fondato sul revisionismo: i territori ucraini definiti «storici» e l’Ucraina «un non Stato, parte della Russia» come scrisse Putin in un saggio del 2021 non preso in considerazione sul serio. La guerra a Kiev, ha dichiarato lo zar, ha lo scopo di «ridisegnare l’ordine mondiale monopolare». È interessante il ricorso al termine «monopolare»: si intende il polo degli Stati Uniti, dimenticando il ruolo crescente dell’impero cinese. Più che l’allargamento della Nato a Est, che prima dell’invasione dell’Ucraina era fermo da 19 anni, il presidente russo probabilmente è stato irritato dalla definizione dell’ex Urss come «potenza regionale», ripetuta più volte da importanti esponenti della Casa Bianca, le cui linee strategiche più recenti hanno sempre indicato come unico rivale la Cina, grande competitore economico, senza mai nominare la Russia. L’imperialismo putiniano ha imposto a Washington di rivedere le priorità per evitare l’espansionismo del Cremlino nell’Est Europa alleato anche degli Usa. Espansionismo esercitato pure in Medio Oriente (Putin in Siria ha sconfitto gli Stati Uniti riuscendo a mantenere al potere il dittatore Bashar al-Assad) e in Africa tramite la compagnia paramilitare privata «Wagner».

Più a Sud, nei Balcani che secondo Winston Churchill «producono più storia di quanta ne possono digerire», a risvegliare i denomini revanscisti e ultra nazionalisti fu in particolare Slobodan Milosevic. L’abbrivio, un discorso incendiario pronunciato nel 1989 alla Piana dei merli in Kosovo, dove nel 1389, nel giorno di San Vito, i cristiani del principe serbo Lazar furono sconfitti dagli ottomani. Milosevic dichiarò che era venuto il momento della riscossa per instaurare la Grande Serbia, a danno dei territori bosniaco e kosovaro musulmani, abitati secondo la lettura degli ultra nazionalisti serbi dai neo ottomani. Ne conseguirono il lungo assedio di Sarajevo, il genocidio di Srebrenica (non ancora riconosciuto dai serbi di Bosnia), le pulizie etniche anche in Kosovo e da qui la fuga di 900mila profughi in Albania e in Macedonia. Sono pagine di storia recente dimenticate ma sempre attuali, vicende avvenute in Europa, anche se i Balcani non sono percepiti come tali ma come «terra di mezzo». Milosevic tolse prima l’autonomia concessa da Tito al Kosovo e poi scatenò una guerra che provocò 12mila morti. Una ferita ancora aperta e che ha convinto gli albanesi kosovari a non restare sotto il potere di Belgrado: l’indipendenza proclamata unilateralmente nel 2008 è stata riconosciuta da 101 Stati membri dell’Onu su 193 (il 52% del totale), fra cui Italia, Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Per Russia e Cina invece il Kosovo resta una provincia autonoma della Serbia. Il Cremlino ha gioco facile a interpretare nell’area un ruolo di destabilizzazione per impedire a Stati balcanici di entrare nella Ue, alla quale anelano i popoli con maggioranze numericamente variabili da Paese a Paese.

Gli intricati e farraginosi accordi di Dayton e le intese mediate dalla Ue hanno silenziato le armi degli eserciti in Bosnia e in Kosovo. Ma è mancata la premessa indispensabile al funzionamento di ogni trattativa: un vero processo di riconciliazione fra comunità in contrasto, a partire dal riconoscimento di torti subiti e commessi e di crimini. È ancora a disposizione quindi materiale infiammabile per revanscismi e manipolazione della storia, con lo sguardo rivolto al passato invece che al futuro. Accade in Europa e ci riguarda: è un virus che si può diffondere.

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