I nuovi equilibri tra Italia ed Europa

IL COMMENTO. Le elezioni europee sono fra un anno, ma la campagna elettorale è già iniziata con i colloqui romani del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e del presidente del Partito popolare nell’assemblea di Strasburgo (Ppe), Manfred Weber. Due tedeschi, due politiche alternative.

Il primo è il partner indispensabile, perché l’Italia non può fare a meno di buone relazioni con Berlino e Parigi. Il secondo è l’amico di nuovo conio, il traghettatore necessario per dare la discussa spallata alla grande coalizione (popolari, socialisti, liberali) che fin qui ha governato i vertici dell’Ue e spostare a destra gli equilibri con una nuova alleanza fra popolari, conservatori e liberali. Ribaltare la nomenclatura di Bruxelles e replicare nel cuore dell’Ue quanto avviene a Roma e a luglio in Spagna, dove i popolari intendono imbarcare l’estrema destra di Vox (che fa parte dei conservatori europei), è nell’orizzonte di Giorgia Meloni. Un investimento strategico, quello della premier, nel tempo delle emergenze a catena e dei conflitti ideologici esasperati: sarà però una battaglia campale, non priva di preoccupazioni nei luoghi che contano e di un certo tasso di velleitarismo.

Per un governo in difficoltà sulla messa a terra del Pnrr, in conflitto con gli organi di garanzia (Corte dei conti e Anac) e che ancora non batte un colpo sul fondo Salva Stati (Mes), Giorgia Meloni (capo del governo e leader dei conservatori europei) riassume tuttora una contraddizione sostanziale. Per dirla con il socialista Giuliano Amato: da un lato è figlia della sua storia precedente alla guida del governo che l’ha portata all’alleanza di fatto con l’ungherese Orban, battitore libero e soprattutto illiberale, dall’altro è parte di una «controtendenza moderata» che spinge la stessa destra ad avere un ruolo di primo piano in Europa. Due parti in commedia, così come il Ppe che deve tenere insieme il suo europeismo (riveduto e corretto, comunque privo dello smalto di un tempo) e l’abbandono di quel cordone sanitario che finora ha mantenuto a distanza i partiti estremi. Un percorso a ostacoli, con una controindicazione: normalizzare i rapporti con le forze più nazionaliste può rafforzare le ali oltranziste in casa propria. E con due obiettivi: compensare le possibili perdite di voti di Forza Italia e, in Francia, degli ex gollisti insieme con la gestione dell’onda di destra, evidente un po’ ovunque pur risparmiando l’area franco-tedesca. Mentre i socialisti, destinati a perdere la Spagna, verranno confinati nella ridotta di 4 Paesi su 27 dell’Ue: in coalizione in Germania e Danimarca, da soli in Portogallo e Malta.

Stare sulla scia degli emergenti per contenerli, possibilmente dividerli in modo da far risaltare le loro contraddizioni: questa sembra la formula di Weber, che ha arruolato i conservatori di Meloni ed escluso la Lega, con seguito di reazione risentita. In effetti l’area sovranista e populista va osservata al plurale, in quanto raggruppa idee assai distanti fra loro e riflette specifiche esperienze e culture nazionali. Il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) s’è disintegrato con la guerra in Ucraina: Putin ha diviso Budapest e Varsavia. Per quanto la Polonia abbia guadagnato in reputazione sostenendo la resistenza di Kiev, il Paese rimane sotto infrazione Ue, insieme all’Ungheria, per violazione dello Stato di diritto, cioè di un valore che appartiene all’identità stessa dell’Unione. Marine Le Pen risulta indigesta al blocco dell’Est e baltico schierato con Zelensky. Per non parlare delle politiche migratorie: anche all’ultimo vertice, Polonia e Ungheria hanno votato contro a differenza dell’Italia a guida sovranista. In questa prospettiva, le elezioni in autunno in Polonia, dai toni peraltro molto accesi, suonano un po’ paradossali: il partito di governo fa parte della famiglia dei conservatori europei guidata da Meloni, mentre l’opposizione appartiene al club popolare. Torna lo schema delle due parti in commedia, con i popolari che su alcuni cavalli di battaglia delle destre (immigrazione e ambiente) si stanno irrigidendo, strizzando l’occhio ai radicali.

Populisti e sovranisti hanno nel mirino la transizione green, che la mettono nel conto delle élites metropolitane e borghesi dal cuore progressista, fonte di impoverimento delle classi popolari e della de-industrializzazione. Archiviare la coalizione popolari-socialisti-liberali implica, in una qualche misura, mettere in discussione le tendenze storiche di due pesi massimi come Germania e Francia e la formula che ha portato Ursula von der Leyen, pupilla di Angela Merkel, alla presidenza della Commissione Ue. Il bavarese Weber, già avversario interno dell’allora cancelliera, non è in buoni rapporti con Ursula e bisogna vedere fino a che punto la sua tela copra tutta la famiglia democristiana tedesca ed europopolare. Servono i numeri (353 seggi su 705) e scelte così nette da centristi in ritirata hanno un costo. Significa in definitiva incidere sui massimi livelli del potere bruxellese, in attesa di conoscere l’offensiva di chi può fare la differenza: il sodalizio di Macron e i contrari, nelle file popolari, allo scivolo a destra. L’area ibrida, a rischio sismico, della nuova destra potrebbe entrare in una fase di sdoganamento continentale e di un inedito riallineamento politico da seguire con attenzione critica. Tutta un’altra storia?

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