Il dramma carceri, il Papa rompe i silenzi

ITALIA. Quello delle carceri non è un problema, ma un dramma. E domenica Papa Leone XIV ha rilanciato l’appello di Francesco perché si decida finalmente su forme di amnistia o di condono della pena, come l’indulto.

Sono morti in quattro durante il loro Giubileo. Due detenuti si sono tolti la vita a Viterbo e a Lecce, una donna è stata stroncata da un’overdose nel carcere femminile di Rebibbia a Roma e un uomo è morto dopo mesi di coma per un pestaggio subito sempre a Rebibbia. Quello delle carceri non è un problema, ma un dramma. E domenica Papa Leone XIV ha rilanciato l’appello di Francesco perché si decida finalmente su forme di amnistia o di condono della pena, come l’indulto. È l’ultimo grande evento del Giubileo. Era cominciato con un’attenzione particolare ai detenuti e finisce nello stesso modo. Bergoglio aveva voluto a tutti i costi aprire una Porta Santa a Rebibbia. L’attenzione della Chiesa ai detenuti è un esempio e un segnale alle istituzioni, fin da quella prima e memorabile visita di un Pontefice in carcere, Giovanni XXIII a Regina Caeli, il vecchio carcere di Roma a due passi dal Vaticano, nel 1958 appena dopo l’elezione.

L’attenzione della Chiesa ai detenuti è un esempio e un segnale alle istituzioni, fin da quella prima e memorabile visita di un Pontefice in carcere, Giovanni XXIII a Regina Caeli, il vecchio carcere di Roma a due passi dal Vaticano, nel 1958 appena dopo l’elezione

Visitare i detenuti è una delle opere di misericordia. Paolo VI nel 1964 disse ai detenuti: «Per voi ho illimitata simpatia». Bergoglio ha varcato la porta di un carcere in diversi Paesi del mondo e ha denunciato sovraffollamento, morti e soprattutto la poca fiducia nella riabilitazione. Ieri Leone lo ha ribadito sottolineando che la giustizia è sempre un processo di riparazione e riconciliazione. La Costituzione italiana in due articoli, 13 e 27, lo spiega con limpida chiarezza. Eppure nell’opinione corrente si è consolidata l’idea della punizione esemplare, qualcosa che assomiglia ad una sorta di vendetta pubblica. Insomma si è rotta nello Stato un’alleanza e la pena è diventata sinonimo di sofferenza, patimento, dolore, espiazione tragica e senza dignità. Rinascita e futuro, prospettiva di un’altra vita buona sono concetti stravolti da una condizione di vita nelle carceri che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella pochi giorni fa a Rebibbia ha definito «totalmente inaccettabile».

La catastrofe penitenziaria è anche una questione di diritti negati, di morti contati e di speranza che oggi a 63mila detenuti addirittura, ha detto domenica il Cardinale Matteo Zuppi, «viene sconsigliata»

Dall’inizio dell’anno si sono suicidati 76 detenuti. L’anno scorso a 5.837 persone è stato riconosciuto dai Tribunali di sorveglianza di essere stati sottoposti a trattamenti «inumani e degradanti». Nel 2013 l’Italia era stata condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo per gli stessi motivi e da allora le cose non sono migliorate. A Rebibbia nella sezione femminile ci sono 370 detenute su 249 posti disponibili e oggi con 63mila detenuti in costante crescita, l’Italia ha superato il limite che non era stato più raggiunto dai tempi della condanna del 2013. L’associazione Antigone, che ogni anno pubblica un Rapporto sul sistema della pena e monitora la dignità dei detenuti, ha accusato che il carcere italiano è fuori dalla legalità costituzionale. Il Papa è sulla stessa linea: «Sono molti a non comprendere ancora che da ogni caduta ci si deve poter rialzare». Ma è un argomento che non porta consenso. Quando il presidente del Senato Ignazio La Russa ha sussurrato di un mini indulto, la mannaia del governo tramite il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano lo ha stroncato. L’indultino non serve a granché ma a La Russa va il merito di aver lanciato un segnale circa il dramma e non il problema delle carceri e la dignità di chi vi è detenuto. Il governo sta zitto, il Parlamento volta la faccia da un’altra parte, il tema non è mai all’ordine del giorno e tutto viene sempre rimandato ai nuovi progetti di edilizia carceraria.

Ma la dignità non si misura solo in metri quadrati. La catastrofe penitenziaria è anche una questione di diritti negati, di morti contati e di speranza che oggi a 63mila detenuti addirittura, ha detto domenica il Cardinale Matteo Zuppi, «viene sconsigliata».

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