Il negoziato di Putin tra farsa e tragedie

Da ieri la Russia è geograficamente più grande, o almeno si considera tale. «Voglio che mi sentano a Kiev, che mi sentano in Occidente: le persone che vivono nel Lugansk, nel Donetsk, a Kherson e Zaporizhzhia diventano nostri cittadini per sempre», ha affermato Vladimir Putin, aprendo la cerimonia di firma dei trattati di annessione a Mosca delle quattro regioni ucraine. Parole che tradiscono un’idea padronale delle persone: sono nella disponibilità del Cremlino, diventano nostre.

Il presidente russo ha detto che il cambio di nazionalità delle aree «è la volontà di un popolo» riferendosi ai referendum che si sono tenuti la scorsa settimana e passati con una media del 95% di «sì». Ma un pannello mostrato da una tv russa filogovernativa su dati parziali, dava per Kherson 655 voti riferiti al 14% di elettori. Significa che nella regione sono andati alle urne in 5.400. Quasi nessuno, in proporzione alla vastità del territorio.

L’esercito russo ha costretto i cittadini recalcitranti a recarsi alle urne con la forza. La scheda andava inserita aperta nell’urna, con il lato dove è segnata la scelta visibile dall’esterno. Non certo un voto libero e segreto. Una farsa semmai. L’Onu e la comunità internazionale non lo hanno riconosciuto. Nelle regioni di Lugansk e di Donetsk (Donbass) a maggioranza russofile il risultato a favore dell’annessione era scontato e non servivano magheggi. Ma nelle aree di Kherson e Zaporizhzhia gli ucraini non pro Mosca erano maggioranza e a migliaia sono stati allontanati dalle loro case con le armi. Fin dall’inizio dell’invasione del resto era chiaro che l’obiettivo dell’esercito russo fossero i civili (30mila uccisi) e le infrastrutture ad uso civile. Lo scopo era quello di ripulire territori per poi annetterli. Dopo due settimane dall’inizio dell’aggressione, profughi e sfollati erano già milioni, «il numero più alto e la fuga più veloce dalla Seconda guerra mondiale» come certificò l’Alto commissariato delle Nazioni Uniti per i rifugiati. E la mattanza non si arresta: proprio ieri a Zaporizhzhia almeno 25 persone sono morte e 50 sono rimaste ferite in un attacco russo contro un convoglio umanitario che stava lasciando la città; due bambini sono stati uccisi a Dnipro da un missile che ha colpito la casa dove abitavano.

Nel discorso celebrativo delle annessioni, Putin è tornato a far leva sulla minaccia del ricorso all’atomica, ricordando che «gli Stati Uniti sono il solo Paese al mondo ad aver usato le armi nucleari due volte e hanno creato un precedente». Poi ha dichiarato di essere pronto ad aprire un negoziato per la fine della guerra. È la politica del fatto compiuto: si crea una condizione considerata irreversibile e poi se ne chiede il riconoscimento. Ma le annessioni segnano invece una nuova escalation del conflitto. Volodymyr Zelensky ha chiarito che «l’Ucraina non negozierà con la Russia finché Vladimir Putin ne sarà il presidente», annunciando poi che Kiev intende firmare la domanda per un’adesione accelerata alla Nato, richiesta che non era all’ordine del giorno da tempo.

Intanto un’inchiesta del «New York Times», che ha richiesto ai giornalisti due mesi di lavoro, ha portato alla luce nuove prove sull’eccidio di Bucha: sono le intercettazioni telefoniche dei soldati russi che dalla cittadina vicina a Kiev parlano con i parenti delle nefandezze che sono costretti a compiere e che inorridiscono loro stessi. Un militare racconta sorpreso di non aver incontrato nazisti ma «persone come noi». Ancora di recente Putin ha negato la responsabilità della strage (almeno 500 morti, tra i quali bambini, con segni di tortura) e delle fosse comuni. Tre mesi fa, in visita in Bielorussia, disse che avrebbe mostrato le prove sui veri colpevoli. Non lo ha mai fatto perché quelle prove non esistono: è una vile bugia. Lo stesso Putin premiò il battaglione reduce da Bucha.

Da ieri la Russia si considera più grande geograficamente: nelle quattro regioni annesse cambieranno bandiere, targhe, moneta, passaporti, la lingua ufficiale e i cittadini potranno essere arruolati a forza. Un obiettivo raggiunto che non interessa ai 260mila residenti fuggiti all’estero dal Paese invasore per non essere mandati a combattere in Ucraina. La pace e un vero negoziato restano lontani. Tra farsa e tragedie.

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