Il Papa, la Chiesa e «l’acqua ferma»

ITALIA. Ciascuno li legga come meglio crede, non è questo il tema, ma è innegabile che dentro e fuori la basilica su cui sabato mattina erano puntati gli occhi del mondo si siano visti alcuni segni, difficilmente immaginabili anche solo poche ore prima che il feretro di Papa Francesco fosse posato sul sagrato di San Pietro.

Il più evidente è l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e quello dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, che meno di due mesi fa era stato letteralmente cacciato dalla Casa Bianca. La foto non dice quello che i due si sono detti, ma restituisce uno sguardo di ascolto reciproco, cosa non di poco conto se si pensa che dal suo insediamento ad oggi, l’atteggiamento del tycoon è stato solo quello di uno che vuol farsi ascoltare a tutti i costi. Incontro produttivo? È presto per dirlo, ma che si sia consumato a pochi passi dal feretro di Bergoglio e dalla «Porta della morte» scolpita da Giacomo Manzù ha qualcosa di affascinante e di misterioso. Vista da dove i due leader erano seduti, la «Porta» celebra l’apertura del Concilio Vaticano II con un fregio che raffigura Papa Giovanni - il Papa della pace - intento a ricevere i Padri conciliari. Da una parte, dunque, Papa Giovanni - a cui è sin troppo facile affiancare, quando si parla di un mondo sull’orlo di una guerra mondiale, le figure di Kennedy e di Kruscev -, e dall’altra Papa Francesco, vero «catalizzatore» dell’incontro tra Trump e Zelensky. E a ben vedere, la «Porta della Morte» - che non contempla solo la morte di Cristo ma anche quella «per violenza» (sulla Terra e nello spazio) - apre anche ad un’altra suggestione: la morte ci ricorda che ogni cosa ha una fine e che niente dura per sempre: come la pace, come la guerra.

La proposta di Hamas di liberare tutti gli ostaggi ancora a Gaza

L’altro «segno» che nessuno s’aspettava, ma che ha fatto irruzione ad una manciata di minuti dall’inizio delle esequie di Francesco, è la proposta di Hamas di liberare tutti gli ostaggi ancora a Gaza, dicendosi anche disposta a cinque anni di tregua in cambio della fine della guerra. Anche qui un annuncio inaspettato, fatto certo in quel momento perché si voleva un simultaneo effetto planetario, ma che tuttavia nessuno si attendeva. «La martoriata Ucraina» da una parte, la Terra di Gesù e la Striscia di Gaza dall’altra, entrambe nel grande cuore di Francesco e per le quali la parola «pace» sembra essere più vicina che mai. Occorre crederci, occorre sperare. E nel Giubileo della speranza voluto da Bergoglio non si può fare diversamente.

E poi quel «vento» - il romanissimo «Ponentino» per alcuni, la rappresentazione (in)tangibile dello Spirito per altri - che durante la suggestiva «Supplica delle Chiese Orientali» (presa dall’Ufficio dei Defunti della Liturgia Bizantina e inserita di peso da Francesco per il suo funerale) comincia a sfogliare piano piano le pagine del Vangelo posto sul feretro, mentre in greco si invoca «il Dio delle anime e di ogni carne» perché accolga l’anima del suo servo, e ci si accomiata da Francesco: «Eterna la tua memoria, fratello nostro, degno di beatitudine, indimenticabile».

Ha parlato ai potenti della Terra per simboli e per segni, tratteggiando solo con apparente semplicità il pontificato di Francesco, ma ha «parlato» anche al futuro Papa, a pochi metri da lui, seduto tra gli oltre centotrenta Cardinali elettori alla sua destra

I casi della vita, diranno in molti. Come quello che ha portato il Cardinale Giovanni Battista Re ad accogliere Jorge Mario Bergoglio ai piedi della Cattedra di Pietro dodici anni fa, e ad accompagnarlo all’inizio del suo cammino celeste. Il Decano del Sacro Collegio, amico di lunga data del Pontefice argentino, lo ha fatto con uno stile impeccabile, tradendo la sua forte emozione soltanto sul finire dell’omelia, quando la voce, fino ad allora ferma e autorevole, si è incrinata sotto il peso della commozione. Ha parlato ai potenti della Terra per simboli e per segni, tratteggiando solo con apparente semplicità il pontificato di Francesco, ma ha «parlato» anche al futuro Papa, a pochi metri da lui, seduto tra gli oltre centotrenta Cardinali elettori alla sua destra. Ha ricordato le responsabilità del Papato - «pasci le tue pecore» -, doveri che passano dall’essere vicino e dare sostegno agli ultimi, ai diseredati, agli emarginati, ai malati, ai carcerati, ai poveri, agli immigrati che muoiono in mare, ai rifugiati. Che passano dall’essere fisicamente vicino anche ai cattolici di tutto il mondo, in tutti i cinque continenti - «è stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti» -, con la capacità «di illuminare i problemi del nostro tempo con la sapienza del Vangelo», e «di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa».

Il valore dell’evangelizzazione

E poi l’opera di evangelizzazione, «con una chiara impronta missionaria», con la Chiesa «casa di tutti, ospedale da campo in grado di curare le ferite» di chiunque e «di chinarsi su ogni uomo». Un Papa fraterno, misericordioso, capace di rivolgersi agli uomini e alle donne del mondo intero per far capire loro che «nessuno si salva da solo». Un Papa che costruisce «ponti, non muri». Un Papa che combatte la guerra con l’unica arma di cui dispone: la propria voce, che giorno dopo giorno si alzava verso un’unica direzione, quella della pace.

Di certo, però, la Chiesa non potrà stare ferma, perché come diceva Francesco, «quando l’acqua cammina, va bene. Ma quando l’acqua si ferma, finisce male, è brutta, con tante “bestie” dentro. L’acqua stanca è la prima a corrompersi»

Il futuro

Chi sarà il successore di Francesco? Impossibile dirlo oggi nonostante il «totopapa» imperversi ovunque. Di certo i Cardinali che si riuniranno in Conclave tra una decina giorni sono chiamati a rispondere ad un enorme dilemma: portare a termine la spinta fortemente riformatrice del Papa «venuto dalla fine del mondo» o imprimere alla Chiesa una nuova direzione, miscelando tradizione e innovazione nel solco giovanneo? Per chi crede, sarà lo Spirito Santo a guidare i Cardinali chiusi nella Sistina. Di certo, però, la Chiesa non potrà stare ferma, perché come diceva Francesco, «quando l’acqua cammina, va bene. Ma quando l’acqua si ferma, finisce male, è brutta, con tante “bestie” dentro. L’acqua stanca è la prima a corrompersi». E oggi la Chiesa non può certo correre questo rischio.

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