Kaliningrad, un pasticcio che si poteva
evitare

Possiamo dirlo? Con la guerra in Ucraina che prosegue imperterrita e crudele, la crisi di gas e petrolio e la recessione che aleggia come un avvoltoio sull’intera Europa (costi alla produzione aumentati del 33% in Germania e Italia), non si sentiva proprio il bisogno del pasticcio allucinante che rischia di nascere intorno a Kaliningrad.

Riassumiamo. La Lituania ha deciso di bloccare il 50% delle merci che arrivano all’exclave russa di Kaliningrad dalla Bielorussia (che a sua volta, in molti casi, le riceve dalla Russia), passando però per 90 chilometri di ferrovia in territorio lituano. Un arrangiamento frutto di uno dei tanti accordi siglati, nel momento del crollo dell’Urss, dai 15 Paesi che in quel momento diventavano indipendenti. Il Governo lituano dice di aver agito in ottemperanza alle sanzioni della Ue contro la Russia. Da Bruxelles confermano, un po’ esitando ma confermano. La Russia si è inferocita e ha promesso adeguate reazioni.

Quello di Kaliningrad, però, è uno dei tanti casi in cui la geografia è tutto. Come si diceva, è un’exclave della Russia, ovvero un pezzo di territorio che è completamente separato dalla madre patria. Ma è soprattutto un porto sul Mar Baltico: Stalin la ottenne alla fine della seconda guerra mondiale, trattando con Churchill e Roosevelt, proprio perché voleva un porto sui mari del Nord che non ghiacciasse d’inverno. Kaliningrad era stata una piazzaforte prussiana (nonché patria del filosofo Kant) e divenne così una piazzaforte sovietica. Negli anni di Vladimir Putin la sua natura si è accentuata: è una delle quattro basi russe di missili nucleari, è sede di cacciabombardieri che possono portare bombe atomiche, è il quartier generale della Flotta russa del Baltico, dispone di moderne e potenti difese antinave.

Insomma, è di importanza strategica fondamentale, per i russi. Ancor più da quando Svezia e Finlandia hanno chiesto di entrare nella Nato: quando ce la faranno, il Baltico sarà un mare dominato dall’Alleanza Atlantica.I lituani, e con loro Josep Borrell, alto rappresentante Ue per le politiche estere e di sicurezza, dicono che le merci bloccate sono in gran parte acciaio e materiali ferrosi, niente di importante, insomma. Fanno finta di non sapere che, al di là della questione di principio e del fatto che il blocco è ormai esteso anche ai trasporti su strada, la Russia vede il rischio di mancare, a Kaliningrad, proprio di ciò che serve alla manutenzione e al funzionamento delle strutture militari. Cosa che, con la guerra in Ucraina e il confronto a tutto campo con l’Occidente, non può certo permettersi. Resta da capire che cosa può concretamente fare il Cremlino per reagire.

C’è l’ipotesi estrema: attaccare la Lituania e lasciare alla Nato, di cui il Paese fa parte, la decisione se impegnarsi in una devastante guerra con la Russia per difendere un Paese con meno di 3 milioni di abitanti. C’è però anche un altro scenario. La Russia potrebbe bloccare il cosiddetto «corridoio di Suwalki». Non molti ne hanno sentito parlare ma per gli strateghi della Nato è da anni oggetto di dibattito e preoccupazione. Sono i 90 chilometri di confine tra Polonia e Lituania, quelli che appunto dividono la Bielorussia da Kaliningrad e dove passa la ferrovia della discordia. Usando le truppe che hanno ammassato in Bielorussia sei mesi fa, i russi potrebbero facilmente occuparlo, congiungendo la Bielorussia a Kaliningrad, dividendo la Polonia dalla Lituania e isolando i tre Paesi baltici, a quel punto stretti tra il mare, la Bielorussia e la Russia. È uno scenario di poco meno drammatico del precedente, perché andrebbe a intervenire sui confini della stessa Nato. La Russia può permetterselo?

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