La bizzarra strategia di Trump sulle guerre

MONDO. Diventa sempre più complicato interpretare, tra annunci, correzioni di rotta e retromarce, le intenzioni di Donald Trump. Questo vale ormai in tutti i campi ma soprattutto nella politica estera. I due casi più eclatanti sono quelli che stanno dividendo il mondo: l’invasione russa dell’Ucraina e le guerre di Israele in Medio Oriente.

Lasciamo pure da parte le dichiarazioni d’intenti sulla pace tra Mosca e Kiev («In 24 ore», persino) e sulla tregua a Gaza (con il contorno del resort da costruire nella Striscia). Restiamo agli ultimi fatti, che collegano le due crisi. Pochi giorni fa parte da Washington l’annuncio che verranno sospese le forniture di armi all’Ucraina, tra l’altro in un momento assai delicato per le difese di Kiev, incalzata lungo la linea del fronte e sempre più spesso colpita dai bombardamenti nelle retrovie. La cosa è clamorosa di per sé e lo diventa ancor più perché non si capisce se si tratti di una decisione di Trump o di un provvedimento preso (come poi si farà filtrare) dal Pentagono.

Il problema delle scorte

Un problema di scorte esaurite, si dice. Ci sta. Proteggere per dodici giorni Israele dai missili degli ayatollah è costato agli Usa il 15-20% delle munizioni Thaad e l’attacco ai siti del nucleare iraniano ha consumato circa metà delle superbombe anti bunker, senza nemmeno «risolvere» la questione. Com’è ovvio, Zelensky si inalbera e molti negli Usa criticano la sospensione degli aiuti. Così Trump cambia idea e promette di fornire agli ucraini dieci missili Patriot. Decisione rovesciata? Mica tanto: i Patriot già trasferiti in Polonia per essere poi consegnati all’Ucraina erano 30 (più altre cose). Alla fin fine, quindi, si tratta di una riduzione di due terzi, non poca cosa. Nulla, comunque, che possa confortare più di tanto gli ucraini.

La strategia di Trump

Ma Trump cosa dice? Che è molto scontento dell’atteggiamento di Putin e che quindi bisogna aiutare gli ucraini a difendersi. Aiutare qualcuno tagliando di due terzi l’aiuto è un’assai bizzarra strategia. Lo è ancor più se si accompagna a una lettura politicamente modesta delle intenzioni dell’interlocutore. Putin non ha fatto questa guerra per uno sfizio sanguinario ma per spingere indietro, nel tempo e nello spazio, l’influenza Usa e Nato in Ucraina. Una classica guerra preventiva, fatta in nome delle cosiddette «esigenze di sicurezza» della Russia. Che ci piaccia o no, è questo il nodo della questione. Pensare che con il Cremlino, che ora si sente in vantaggio, bastino vaghe promesse di scambi commerciali e qualche fervorino è davvero molto ingenuo.

Soprattutto se nello stesso tempo si fornisce supporto politico, finanziario e militare a un’altra guerra preventiva, quella che Israele ha condotto contro l’Iran, in nome della sicurezza rispetto al nucleare di Teheran che, sarà bene ribadirlo, non disponeva di ordigni atomici né era vicina ad averli. Iran che a gennaio ha firmato un Trattato di partenariato strategico con la Russia, che a sua volta sta costruendo due nuovi reattori presso la centrale iraniana di Bushehr e che si è detta disponibile a fornire all’Iran lo stesso uranio arricchito ai livelli necessari per il solo uso civile. In queste condizioni, quanto può sembrare affidabile Trump a Putin?

L’utopia dell’accordo

In altre parole: Putin non desiste dai suoi programmi di invasore ma Trump segue logiche, chiamiamole così, che sono quasi incomprensibili e che si spiegano solo con il tornaconto politico del giorno per giorno, quasi dell’ora per ora. Pensare che due così possano trovare un accordo sull’Ucraina, spinta tra l’altro a resistere non solo dall’orgoglio nazionale ma anche dall’investimento massiccio che l’Europa fa sul suo spirito combattivo, è davvero un’utopia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA