La guerra in Ucraina l’Europa in affanno

MONDO. Non c’è più sordo di chi non vuol sentire. Il sordo in questo caso è l’Europa che fa finta di non sentire la litania di insulti del presidente Trump e prese di distanze, ormai anche formali, provenienti da Washington.

La recente «Dottrina di sicurezza», già tanto dissezionata da analisti e politologi, ha certificato una situazione che sembra vedere allineati Mosca e Washington nel minare quei governi europei colpevoli dell’«erosione della civiltà». Al contrario dunque, Trump e Putin si trovano in sintonia nel puntellare i leader populisti-nazionalisti meno popolari a Bruxelles come Orban (Ungheria), Fico (Slovacchia), il neo primo ministro ceco Babis e, in prospettiva, Kaczinski (Polonia), Le Pen (Francia) e Weidel (Germania). In comune vi è senz’altro l’obiettivo di distruzione del progetto comunitario dell’Unione europea che già non gode di buona salute, visto il crescente ed evidente disincanto delle opinioni pubbliche continentali.

L’Ue non piace a Trump e Putin

L’Ue non piace a Trump, perché per decenni ha drenato risorse militari americane senza contropartite e soprattutto perché mantiene un forte potere nei negoziati commerciali e non gli consente pienamente il «divide et impera». Putin si spinge oltre: il modello Ue - che promuove lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, il pluralismo politico e le libertà civili - mette in discussione la legittimità del sistema autoritario russo. Il timore è il contagio politico, minaccia mortale per la «verticale del potere» russo.

Tutto ciò si riverbera inevitabilmente sul negoziato per la soluzione del conflitto russo-ucraino. Gli europei si affannano a mostrare una rilevanza che viene negata ed esprimono tutta la frustrazione di chi ha investito nel sostegno a Kiev complessivamente più di 180 miliardi di euro in 4 anni. L’Amministrazione americana non intende attribuire ai Paesi «volenterosi» alcun ruolo sostanziale e trova sponda a Mosca che già più volte ha negato che vi possa essere una forza di interposizione tra i due schieramenti formata da tedeschi, inglesi, francesi e altri Stati appartenenti alla Nato. Il leader ucraino Zelensky, di fatto già delegittimato da Trump, non sembra capire che la sabbia nella clessidra del suo tempo politico sta per esaurirsi rapidamente e apre a possibili soluzioni (zona demilitarizzata e congelamento del fronte, garanzie di sicurezza che vadano oltre l’articolo 5 della Nato) inaccettabili per Mosca.

Il disegno americano

Putin è ben cosciente del disegno americano di rafforzare i legami con la Russia per scalfire l’alleanza Mosca-Pechino e per aprire le porte a fruttuose cooperazioni economiche per il possibile sfruttamento di risorse naturali in Siberia e nell’Artico che portino, ad esempio, a spezzare il quasi monopolio cinese sulle terre rare. Con tale consapevolezza il leader russo si può permettere di poter continuare la guerra senza pagare un prezzo eccessivo agli americani e si dimostra sempre aperto alle soluzioni prospettate da Washington, senza chiudere mai veramente la partita.

Chi sta in una strettoia soffocante sono le Cancellerie europee che non hanno più i mezzi finanziari (né il consenso politico interno) per continuare a sostenere l’Ucraina e sono rimasti con l’unica - importante e controversa - carta dell’utilizzo indiretto dei beni russi congelati a Bruxelles per consentire a Kiev di proseguire il conflitto. Si ha la sensazione che i pezzi del puzzle della pace siano ancora distanti l’uno dall’altro.

Mentre è difficile, se non impossibile, trovare un analista che veda un futuro roseo per l’Ucraina, permane sul continente europeo una linea di divisione inconciliabile tra chi ritiene che Putin si fermerebbe alla conquista della regione del Donbass (e quindi occorre spingere Kiev a cedere per poter contare su un 80% di territorio più o meno indipendente) e chi invece sostiene che Putin allargherebbe prima o poi il conflitto anche oltre l’Ucraina.

Questa seconda opinione, che vede come corollario la Russia quale nemico più grande per l’Europa, per il momento prevale e detta le azioni di molte Cancellerie europee nel sostegno a Zelensky. Il prezzo che gli ucraini stanno pagando è enorme e qualcuno in futuro forse ci riterrà in parte responsabili.

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