La guerra in Ucraina sarà lunga e sanguinosa

Mariupol’ è sempre al centro dell’attenzione e, anzi, è diventata il vero simbolo di tutto quanto accade o non accade in Ucraina. Gli ucraini vogliono trattare l’uscita dei civili dalla città devastata dai bombardamenti e dalle battaglie, e con quella organizzare anche la resa o la ritirata degli uomini superstiti del Battaglione Azov e della 36ª Brigata di fanteria di marina che ancora resistono nelle mastodontiche e labirintiche strutture dell’acciaieria Azovstal. E propongono di farlo proprio a Mariupol’.

Ma i russi rispondono offrendo un ultimatum dietro l’altro, non rispondono alla proposta di Kiev e, al contrario, annunciano per il 9 maggio, anniversario della vittoria contro la Germania nazista in quella che i russi chiamano la Grande guerra patriottica. Un’iniziativa provocatoria che serve, soprattutto, a vantare un successo, a rimarcare il controllo del grande porto ucraino, ma che ha un sapore più che sinistro, addirittura macabro, per tutti coloro che abbiano visto anche solo una fotografia di quella che prima della guerra era una fiorente città di mezzo milione di abitanti, e ora non è che un ammasso di palazzi bruciati e rovine.

Si capisce da tutto questo che, al di là della propaganda e delle dichiarazioni a effetto (per esempio quelle sulla proposta in 15 punti che il Cremlino avrebbe inviato a Kiev per rilanciare la trattativa), le parti non hanno alcuna intenzione di sedersi a un qualunque tavolo che abbia come prospettiva la pace. L’Ucraina conta soprattutto sull’appoggio finanziario e militare dei Paesi che in Occidente sono ormai maggioritari e che in questa guerra vedono anche la possibilità di piegare la Russia, le sue velleità imperiali e più in generale le sue ambizioni politiche: gli Usa, il Regno Unito, la Polonia, i Baltici.

Non è un caso se il presidente Zelensky ha più volte affrontato la Germania a viso aperto, anche con lo sgarbo esagerato al presidente tedesco Steinmeier, di fatto dichiarato persona non grata. Finora le forze armate ucraine hanno resistito bene e hanno fondata speranza di farlo anche meglio in futuro, con la dovuta assistenza dei mezzi tecnici occidentali, come l’affondamento dell’incrociatore «Moskva» ha dimostrato.

Dal lato di Kiev, quindi, per ora non c’è molto da aspettarsi sul fronte della diplomazia. Ma da Mosca la chiusura è ancora più netta, al di là delle parole di buona volontà, per almeno due ragioni. La prima è che, avendo preso l’iniziativa della guerra con l’invasione del 24 febbraio, la Russia non potrà fermarsi prima di poter vantare una «vittoria», qualunque sia ciò che il Cremlino deciderà di definire tale. La seconda è che per i russi una vittoria è ancora possibile. Le forze guidate dal generale Dvornikov possono ancora realizzare quel Donbass allargato verso il centro dell’Ucraina e allungato fino a Odessa che consentirebbe di regalare a Mosca un cuscinetto simbolico anti-Nato, per di più ricco di materie prime, industrie e sbocchi al mare.

Prima di mollare la presa, Vladimir Putin dovrà subire ben altre sconfitte e patire ben altre crisi economiche. Questa guerra sarà lunga e sanguinosa, le conseguenze saranno pesanti per tutti. E sullo sfondo, per di più, cresce la polemica tra Stati Uniti e Cina. Prepariamoci.

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