La minaccia ungherese ai valori dell’Europa

ESTERI. Con 433 voti a favore e 123 contrari, il 27 aprile scorso il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza un rapporto che bolla Budapest come una «minaccia sistemica» per i valori fondanti dell’Ue in virtù del «regime ibrido di autocrazia elettorale» costruito da Viktor Orban.

I gruppi più a destra dell’emiciclo, in cui militano i rappresentanti di Lega e di Fratelli d’Italia, hanno espresso il loro voto contrario. In particolare, la delegazione di Fratelli d’Italia ha precisato in una nota che «si tratta dell’ennesimo attacco politico nei confronti del legittimo governo ungherese».

Già nel 2018 l’Europarlamento aveva approvato la richiesta di attivare il «meccanismo di condizionalità» previsto dai trattati per la violazione dei valori fondamentali dell’Ue, come democrazia e Stato di diritto. La relazione faceva riferimento a 12 aree da tenere sotto osservazione, ma in quattro anni, nonostante continue negoziazioni, la situazione non è migliorata. Tenuto conto di ciò, la Commissione ha recentemente deciso un taglio del 55% dei fondi comunitari che l’Ungheria avrebbe dovuto ricevere per tre programmi operativi nell’ambito della politica di coesione. Un’ulteriore iniziativa è stata presa lo scorso mese da un numeroso gruppo di eurodeputati, i quali chiedono che il Consiglio europeo attivi in toto l’art.7 dei Trattati che prevede la possibilità d’imporre sanzioni al Paese membro in deficit democratico, sino alla «sospensione del diritto di voto», seguendo la procedura che prevede solo la «maggioranza qualificata».

Ciò, anche in considerazione del fatto che in non pochi i casi l’Ungheria, utilizzando il «diritto di veto» previsto dai Trattati, ha impedito importanti decisioni del Consiglio. In particolare, si contesta al premier Orban: l’applicazione di leggi molto restrittive sulla libertà di stampa; i limiti posti ai dibattiti televisivi; l’adozione di provvedimenti che discriminano gli omosessuali; il tentativo di sottomettere alla volontà del governo anche l’azione della Banca Centrale; la revisione della Costituzione, assegnando più poteri al governo e riducendo la possibilità d’intervento della Corte Costituzionale. Incurante delle politiche umanitarie in materia di immigrazione, Orban ha inoltre deciso di erigere una barriera di filo spinato lunga 175 chilometri e alta quattro metri al confine con la Serbia, dalla quale arrivano i profughi di nazioni in guerra come Afghanistan, Siria e Pakistan. Per giustificare tale decisione ha affermato: «Noi ungheresi non siamo una razza mista e non vogliamo diventare una razza mista». Da qui, il rifiuto di osservare ogni proposta sulle quote e sulla ricollocazione dei rifugiati tra i Paesi membri. Ancora, in più occasioni Orban si è schierato «pro Putin», contestando sia le sanzioni economiche contro la Russia, sia l’invio di armi all’Ucraina decise dall’Europa, dagli Stati Unti e dalla Nato.

La premier Meloni, che si è fatta ferma promotrice della ricollocazione degli immigrati tra i Paesi membri e che si è schierata apertamente con l’Europa e con gli Usa a favore dell’Ucraina, dovrebbe interrogarsi sull’opportunità di prendere nettamente le istanze dal suo tradizionale alleato. Negli ultimi tempi si è aperto l’ennesimo contenzioso con Orban in conseguenza del rapporto privilegiato che ha assunto con Milorad Dodik, il leader dei serbi in Bosnia, molto vicino a Putin, considerato un pericoloso secessionista. In Europa sono molti a pensare che questa sia «una mossa geopolitica» molto rischiosa per il mantenimento della pace in quel Paese e che sia stata attuata da Orban nell’intento di diventare leader nei Balcani. Nel suo recente viaggio in Ungheria, certamente non casuale, Papa Francesco rivolgendosi alle autorità e alla società civile del Paese ha tracciato un quadro drammatico rispetto all’attuale situazione dell’Europa e del mondo, affermando che «la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato; pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre tornano a ruggire i nazionalismi e si fanno spazio i solisti della guerra».

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