La pace è un diritto e non nasce dalla guerra

MONDO. In una manciata di secondi Giorgia Meloni sbaraglia e annichilisce anni di dibattito sull’ossimoro più disonorevole per l’umanità, quello della pace che si costruisce attraverso la guerra, oggi in gran spolvero da Putin a Trump a Netanyahu, dal falco della Nato Mark Rutte ai fedeli cortigiani dell’industria militare globale.

Il presidente del Consiglio ha schierato l’Italia sul versante vergognoso della Storia e ha polverizzato in un baleno l’art. 11 della Costituzione sul ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e ci ha infilato nel mondo distonico di George Orwell, «1984», dove il Ministero della Pace prepara la guerra e il Ministero della Verità elabora le bugie.

Con il sorriso sulle labbra e la determinazione di un comandante in capo Meloni ha cancellato la lezione di Max Weber secondo cui un principio eticamente buono non giustifica l’uso di mezzi eticamente pericolosi

Eppure bisogna darle atto di schiettezza, per aver avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente che la guerra è un dato di natura e non il risultato tragico della stupidità umana e delle disfunzioni cognitive di individui e gruppi pericolosi. Con quel «io sto con i Romani» ha inchiodato sulla facciata di Palazzo Chigi la massima più ipocrita e contraddittoria che, nonostante le smentite della Storia, continua ad essere meticolosamente alimentata dallo spirito di ostilità e di rancore del pensiero unico sulla deterrenza e la sicurezza armate.

La «saggezza romana» invocata da Meloni si sistema esattamente all’opposto e guarda il mondo dalla prospettiva di chi imbraccia il fucile e non con gli occhi tremanti di chi è davanti alla bocca del cannone

Con il sorriso sulle labbra e la determinazione di un comandante in capo ha cancellato la lezione di Max Weber secondo cui un principio eticamente buono non giustifica l’uso di mezzi eticamente pericolosi; ha travolto Gandhi e Aldo Capitini, Martin Luther King e tutti i Pontefici del Novecento; ha bruciato le pagine di Hannah Arendt sulla banalità del male e la resistenza passiva; ha stracciato il Manifesto di Einstein e di Bertrand Russell sulla ricerca di mezzi pacifici per la soluzione delle contese; ha ridotto a brandelli decine di appelli di Premi Nobel e di Rapporti internazionali sull’inefficacia paradigmatica del principio «si vis pacem, para bellum». Per non dire della lezione perfetta, ma sconosciuta ai più, di Johan Galtung, il matematico norvegese che negli anni Sessanta elaborò una nuova scienza per la pace, irenologia, studi interdisciplinari per cambiare la narrazione della guerra e le sue giustificazioni con attenzione cruciale ai linguaggi, evitando semplificazioni e squilibri nella considerazione delle sofferenze. E per non dire dell’ammonimento di Filippo Turati del 1909 in un memorabile discorso alla Camera sulla vertigine e la «vana follia» degli armamenti in un tempo in cui tutto il mondo con gagliardo furore procedeva verso il radioso delirio della Grande Guerra. La «saggezza romana» invocata da Meloni si sistema esattamente all’opposto e guarda il mondo dalla prospettiva di chi imbraccia il fucile e non con gli occhi tremanti di chi è davanti alla bocca del cannone.

A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, quando tutti gli Stati chiusero i Ministeri della Guerra, sarebbe ora finalmente di organizzare la pace, «Si vis pacem, para pacem», un cambio di rotta, un nuovo paradigma oltre quello dell’equilibrio del terrore, che non è mai stato né sufficiente, né sicuro come dimostrano 54 conflitti in corso e l’aumento del 37 per cento delle vittime globali l’anno scorso, cifra mai raggiunta in 80 anni di pace presunta. È arrivato il tempo di considerare la pace un diritto e una virtù e non un periodo di assenza di guerra. Lo spiegava già Sant’Agostino a ridosso del «saggio motto» dei Romani. La pace è «tranquillitas ordinis», compito tra i più «complicati e difficili», dirà il futuro Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli alla Conferenza di Helsinki nel 1973, inviato da Paolo VI, perché si sviluppasse anche una riflessione critica sulla realpolitik indotta dalla massima romana.

Serve un pacifismo strutturale

Lo «spirito di Helsinki» è stato rilanciato da Francesco, dal Presidente Sergio Mattarella, da Leone XIV all’inizio del Pontificato. Ma Giorgia Meloni lo ha seppellito e lo ha fatto nel giorno in cui decine di associazioni cattoliche, in testa le Acli e l’Azione Cattolica, hanno rilanciato la campagna per l’istituzione in Italia di un «Ministero della pace», per coordinare istituzionalmente politiche di pace, come principio organizzativo della società e passare così dal pacifismo movimentista al pacifismo strutturale. Non è un sogno, né un’utopia, ma una governance diversa ormai obbligatoria.

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