
(Foto di Foto di Joshua Davis su Unsplash)
MONDO. A due anni dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas (o il popolo palestinese tutto?) e a più di tre dall’invasione russa dell’Ucraina, la politica internazionale assiste impotente davanti alla sfacciata e insolente brutalità dei nuovi signori della guerra (e vedremo cosa genereranno i solenni piani di Trump).
Gli appelli dei papi – Francesco prima e oggi Leone XIV – rimangono solo flatus vocis caduti nel vuoto. Dal 7 ottobre 2023, ogni giorno, all’età di 92 anni, il patriarca emerito dei latini cattolici Michel Sabbah indirizza al mondo la sua invocazione-preghiera per la pace. Inascoltata, ovviamente. Nel frattempo, anche in Israele, si moltiplicano le iniziative per
Ci sentiamo, a volte, così stanchi e spoetizzati che viene quasi naturale chiedersi quale sia il senso di queste pratiche, palesemente ingenui e inconcludenti.
chiedere la fine del conflitto, tra marce e bandiere, piazze e appelli, digiuni e preghiere. Ci sentiamo, a volte, così stanchi e spoetizzati che viene quasi naturale chiedersi quale sia il senso di queste pratiche, palesemente ingenui e inconcludenti. Il dubbio è dietro l’angolo: la preghiera, soprattutto la preghiera, così decisiva per i credenti, compresa quella che comunitariamente rivolgiamo al Signore ogni domenica, non appare forse come un esercizio un po’ naïf? Tutte queste iniziative, laiche e/o religiose (class action e flash mob), sembrano non sortire alcun effetto, non riescono minimamente a scalfire i disegni dei potenti della terra che, infatti, agiscono indisturbati nell’attuazione dei loro piani criminali di occupazione di territori e di offesa dei popoli.
Perché dunque pregare se non succede nulla, se nemmeno Dio sembra voler ascoltare e rimane in silenzio? L’obiezione è antichissima e percorre la soundtrack dell’intero salterio biblico. Vanno accolti i sospetti sulla reale efficacia e utilità della preghiera. Che, di per sé, pare proprio l’azione più inutile che ci sia. Sono, però, convinto che non preghiamo Dio perché possa quasi magicamente riportare la pace e annullare le guerre, così d’embleé. La nostra «ostinazione» alla preghiera non ha la pretesa di costringere Dio; semmai deve cambiare noi per non cadere nella trappola di sentimenti di rivendicazione e liberarci da desideri di odio. La nostra preghiera non cambierà il mondo e non porterà la pace, ma deve obbligarci a forgiare nel cuore «le nostre spade in vomeri, le nostre lance in falci», così come già profetizzava Isaia.
La nostra «ostinazione» alla preghiera non ha la pretesa di costringere Dio; semmai deve cambiare noi per non cadere nella trappola di sentimenti di rivendicazione e liberarci da desideri di odio
Preghiamo per non cedere alla tentazione di credere che l’unica soluzione ai conflitti sia la violenza, che al male si deve rispondere con altro male. Perché questo è, nei fatti, la logica barbara in atto. La preghiera per la pace è davvero un grande atto di coraggio e non la pia rassegnazione all’inevitabile esistente. È la prima forma di r-esistenza nonviolenta. Poi, certo, non basterà, nemmeno la sola preghiera. Poi – lo stiamo già vedendo – matureranno le azioni (pur sapendo che già la preghiera è azione), come quella di chi sta veleggiando verso Gaza insieme con l’operazione Global Sumud Flotilla, assumendosi grossi rischi, o come chiede il movimento Pax Christi in una recente lettera inviata ai parroci: iniziative formative e educative; organizzazione di viaggi, incontri, gemellaggi, corrispondenza tra le nostre comunità civili ed ecclesiali e comunità locali, appoggiandosi alla comunità cristiana guidata dal cardinale Pizzaballa; sostegno a chi si muove per portare aiuti e solidarietà alla popolazione; sostegno a chi in Israele, Ucraina, Russia, si dichiara obiettore di coscienza contro ogni guerra. Direzioni concrete che potremmo assumere anche nelle nostre comunità.
Non sappiamo se tutte queste azioni o interventi avranno successo, non vanno però dileggiati o derubricati perché avranno contribuito un poco a costruire una coscienza collettiva (laica e religiosa) persuasa che l’odio genera soltanto altro odio e, soprattutto, che il male perpetrato quotidianamente non è stato permesso in nostro nome. Saremo magari impotenti, ma di sicuro non conniventi.
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