L'Editoriale
Lunedì 10 Novembre 2025
La richiesta di Europa nell’Est va ascoltata
MONDO. L’area geografica dell’Europa vive una contraddizione.
A Ovest crescono posizioni disgreganti dell’Ue, spinte da partiti sovranisti e nazionalisti e da un diffuso sentimento trasversale di disillusione verso Bruxelles, che ha un fondamento: la difficoltà ad attuare riforme che rispondano alla crescita della povertà, alla disoccupazione e alle ingiustizie sociali, la lentezza decisionale e l’assenza del Vecchio continente nelle partite diplomatiche delle guerre in Ucraina e nel Vicino Oriente, mentre è stretto fra le mire nocive di Donald Trump con la sua pratica del bilateralismo esclusivo (gli interessi trattati con i singoli Stati) e il revanscismo imperiale di Vladimir Putin.
A Est l’integrazione nell’Unione è invece un obiettivo per completare la transizione di giovani e fragili democrazie a istituzioni compiute nel rispetto dei diritti individuali e collettivi e contro la corruzione. Questa parte del continente ha vissuto non solo l’immensa tragedia dell’occupazione e della disgregazione da parte del nazifascismo ma è stata anche parte dell’Urss, in particolare nella versione più nera dello stalinismo, pagando un prezzo altissimo con lasciti pesanti.
L’allargamento dell’Ue
Settimana scorsa è stato presentato a Bruxelles il rapporto sullo stato dell’allargamento dell’Ue: per le riforme realizzate sono state promosse in ordine di merito Moldavia, Montenegro, Albania e Ucraina (nonostante sia dilaniata dall’invasione su larga scala russa e a dispetto di pregiudizi, il suo governo ha attuato parte delle innovazioni richieste) mentre sono state bocciate Georgia, Serbia e Turchia che segnano un regresso autoritario, una deriva contestata nelle rispettive piazze. Anche la Bosnia ha ricevuto un giudizio negativo, seppure l’ingresso dell’ex Repubblica jugoslava nell’Unione scongiurerebbe il progetto di secessione messo in atto dalla sua componente serba e il rischio del riaccendersi della guerra bloccata 30 anni fa con gli accordi di Dayton.
A Est sono i giovani a volere l’Europa
Si può liquidare il desiderio di Europa presente nella parte centro orientale e nei Balcani con giudizi infondati: una spinta eterodiretta da Ovest o mirante solo ai fondi di Bruxelles, ma a smentire queste visioni ci sono esiti elettorali e referendum. Sono soprattutto i giovani ad affermare un sentimento europeista privo di nostalgie storiche assenti nelle loro biografie. È un sentimento che andrebbe compreso e ascoltato, possibile slancio e antidoto a chi a Ovest è invece stanco di Europa.
È legittima la contrarietà all’allargamento in un’epoca di crisi dell’Ue, di funzionamento e di ideali, ma è innegabile l’interesse genuino europeista in quelle terre segnate da recenti conflitti o in corso e in bilico tra un futuro di pace e un passato che non passa, anche per la presenza di movimenti e partiti che vogliono riportare la storia indietro (in questa pratica Putin è un campione ed ha i suoi emuli non solo ad oriente ma pure a occidente fra sovranisti e nazionalisti).
L’Ue deve ritrovare le sue ragioni fondative
In un mondo consegnato ai rapporti di forza militari ed economici, al tripolarismo degli imperi statunitense, cinese e russo con rispettive e ampie sfere di influenza, i singoli Stati europei da soli non hanno peso, in particolare nella gestione di fenomeni globali. L’Unione deve ritrovare le sue ragioni fondative in un tempo cambiato, in un mondo nel quale è considerata a ragione irrilevante. Serve una nuova rotta, «una promessa da riaccendere» come ha molto bene rilevato Mauro Magatti in un editoriale su «Avvenire».
Abbiamo reagito alla crisi finanziaria del 2008 innescata negli Usa e alla tragedia della pandemia di Covid, ma senza produrre un nuovo orizzonte. Guai a ridurre il continente a fortezza che respinge migranti e non gestisce approdi necessari, che guarda con sospetto e altezzosità le richieste di adesione che arrivano da Est, a quelle giovani e fragili democrazie etichettate ingiustamente come iper nazionaliste, mentre sono animate dall’orgoglio di recenti indipendenze da irrobustire dentro la comunità del Vecchio continente.
«L’Europa - ha scritto ancora Magatti - non è un meccanismo di regolazione burocratica o di distribuzione di fondi, ma una promessa condivisa: quella di un’umanità capace di libertà, giustizia e solidarietà. Solo se saprà riaccendere questo spirito, l’Europa potrà tornare a contare nel mondo. Non per la sua potenza militare o per la sua forza economica, ma per la sua capacità di dare senso all’epoca che viviamo. Come ogni grande costruzione politica, l’Unione europea ha bisogno di un’anima». Sarebbe ora che la politica italiana uscisse dal suo provincialismo alzando lo sguardo, cogliendo le opportunità che ci sono dentro ogni crisi, anche quelle più gravi, per diventare protagonista del cambiamento nel continente.
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