La Russia è sempre più isolata: ma basterà?

È dunque cominciata la cosiddetta «seconda offensiva» russa in Ucraina. Lo ha confermato lo stesso presidente ucraino Zelensky, che nello stesso tempo ha ribadito che i suoi possono combattere i russi anche per dieci anni.

Un’affermazione da leader di un popolo aggredito, che però inconsciamente rivela, anche, la consapevolezza che questa guerra sarà lunga e sanguinosa, assai più di quanto si potesse prevedere il 24 febbraio, quand’è cominciata. E che la prospettiva sia truce lo dimostra anche quanto avviene sul campo. Per venti giorni i russi hanno bombardato depositi, raffinerie, stazioni, centri industriali, fabbriche di pezzi di ricambio, nell’evidente intento di indebolire le strutture di supporto della resistenza ucraina. Perché puoi fornire quanti carri armati vuoi, poi però occorre la benzina per renderli operativi. Questo spiega anche perché questa dei russi nel Donbass sia l’offensiva più anticipata e prevista della storia militare mondiale: serviva il tempo per prepararla, «battendo» il terreno con missili e colpi dell’artiglieria.

Allo stesso modo, una volta partita, questa seconda ondata dell’invasione russa mostra un volto e una conduzione ben diversi rispetto alla prima. Nelle ultime settimane la Russia ha portato nel Donbass altri due battaglioni, arrivando a un totale di 78. Ma niente più truppe speciali o mezzi corazzati all’assalto, come se si trattasse di arrivare per primi da qualche parte, cosa che era successa, per fare un esempio, con i paracadutisti che occuparono l’aeroporto di Hostomel nella regione di Kiev, lo tennero per più di un mese e alla fine furono richiamati indietro. Adesso non si muove nessuno se non dopo scariche infinite di bombe. Sembra il primo effetto della riorganizzazione della catena gerarchica russa, con un comando unico delle operazioni affidato al generale Aleksandr Dvornikov. La stampa occidentale l’ha subito ribattezzato «il macellaio» per quanto fece in Siria che fu, come appunto avviene ora in Ucraina, bombardare le città. Sarebbe meglio se di Siria parlasse solo chi c’è stato e ha potuto vedere com’era ridotta, per esempio, la parte occidentale di Aleppo, quella dei «governativi», con i condomini sventrati dai missili jihadisti. Ma il punto è un altro: tutti fanno la guerra così. Basterebbe chiederlo ai superstiti di Raqqa, martellata dai cacciabombardieri e dai cannoni Usa nel 2017. Lì si asserragliavano i miliziani dell’Isis, che ovviamente non sono paragonabili ai militari ucraini. Ma dei civili iracheni innocenti che morirono a migliaia, in una sola città, in tre settimane, che vogliamo dire?

A tutti replica Vladimir Putin in persona, che dichiara fallita la «guerra lampo» dell’Occidente per far crollare l’economia russa. È vero, la Russia non è crollata ieri e nemmeno oggi, come forse alcuni speravano. Ma se crollasse invece domani o dopodomani, quale sarebbe la differenza?

Questo non per assolvere Dvornikov o nessun altro. Ma solo per suggerire che il linguaggio, anche quello più enfatico, svela una realtà paradossale: forse non riusciamo ancora a fare i conti con l’enormità di quanto sta succedendo in Ucraina, con questa guerra scatenata dai russi che replica nella nostra comoda e satolla Europa le tragedie che si sono svolte a ripetizione poco più in là, appena oltre il piccolo Mare Mediterraneo.

Nel frattempo, il fronte dei Paesi occidentali, guidato dagli Usa di Joe Biden, si impegna a continuare la fornitura di armi all’Ucraina e a colpire la Russia con altre sanzioni. In Russia, invece, corre una polemica neppur tanto sottile tra i «politici» e i «tecnici». Elvira Nabiullina, governatrice della Banca Centrale di Russia, prevede tempi durissimi a causa dei provvedimenti decisi da Usa ed Europa, non tanto per quelli che riguardano la finanza ma soprattutto per quelli che colpiscono i trasporti, la logistica, la fornitura di strumenti tecnologici. E il sindaco di Mosca Sobyanin prevede che 200 mila persone nella capitale possano perdere il posto di lavoro a causa della fuga delle aziende occidentali. A tutti replica Vladimir Putin in persona, che dichiara fallita la «guerra lampo» dell’Occidente per far crollare l’economia russa. È vero, la Russia non è crollata ieri e nemmeno oggi, come forse alcuni speravano. Ma se crollasse invece domani o dopodomani, quale sarebbe la differenza? E ai russi piacerà avere come orizzonte esclusivo, nel prevedibile futuro, l’amicizia di cinesi e indiani? L’isolamento della Russia non è assoluto, ma è totale rispetto all’Occidente. Nemmeno Putin può pensare che sia poco.

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