La tattica di Putin e l’esigenza di uscirne

MONDO. Vladimir Putin non ha ancora deciso se fermare l’«Operazione militare speciale» in Ucraina, ma ha solo compreso che adesso deve fare qualcosa.

Altrimenti rischia di irritare il sempre più impaziente Donald Trump – la sua migliore guida per uscire dal ginepraio in cui si è cacciato – e di ritrovarsi isolato anche nel Brics, il gruppo dei Paesi emergenti. Ecco, in breve, la ragione delle ultime aperture a sorpresa verso Kiev, invitata lunedì prossimo ad un incontro in Turchia. Da buon russo il capo del Cremlino vuole essere lui ad iniziare (24 febbraio 2022) e a terminare la campagna in corso. Meglio se con una «pax moscovita», con condizioni capestro imposte a Zelensky.

Trump vuole il cessate il fuoco

All’amministrazione Trump, del resto, non interessa tanto dell’Ucraina del futuro e degli assetti geopolitici prossimi nel Vecchio continente. I suoi obiettivi sono a corto termine: ossia cessate il fuoco e rilancio dell’immagine del tycoon come «pacificatore». Putin ha compreso la situazione, quindi intende sfruttarla. Ma sa di avere a che fare con gli ucraini, che tradizionalmente rappresentano un osso duro per i russi. Kiev, e il Cremlino ne è conscio, si appiglierà a qualsiasi dettaglio prima di accettare possibili proposte di intesa. Il famoso «memorandum» di Putin, mai reso pubblico, dovrebbe contenere un elenco preciso al millimetro di quanto pretendono i russi.

Sarà esso accettabile da uno Stato sovrano? I dubbi sono più che legittimi. Negli ultimi giorni sono volati insulti e minacce che leader di Potenze nucleari dovrebbero evitare. Trump ha definito «pazzo» Putin, che «gioca con il fuoco». E ha lanciato un chiaro messaggio in codice al Cremlino: «Senza di me alla Russia sarebbero accadute cose brutte». Il riferimento è certamente all’aspetto militare. Gli esperti sanno bene che gli ucraini sono stati limitati a lungo nelle loro risposte in territorio nemico da vincoli politici e di ingaggio.

La mossa tedesca

Adesso il neocancelliere tedesco, spazientito dal tergiversare dei negoziatori russi, ha tolto il limite del raggio di azione per l’uso dei propri missili forniti a Kiev. Nel mirino sono così entrati obiettivi che erano stati esclusi preliminarmente dagli occidentali, i quali temevano l’escalation. E se Trump seguisse le stesse orme di Merz? Per il Cremlino sarebbero dolori. È finito il tempo in cui gli occidentali rifilavano agli ucraini gli scarti degli arsenali.

Kiev oggi ha anche perfezionato le armi di produzione nazionale, in particolare i droni, che ogni notte a centinaia vengono lanciati in territorio federale. Proprio per mancanza di uomini gli ucraini utilizzano questi velivoli volanti per sorvegliare centinaia di chilometri di linee di fronte. Per ora Trump aspetta ancora. Questa è la ragione per cui Washington non si è unita agli europei che hanno definito nuove pesanti sanzioni contro Mosca. I Ventisette e i britannici hanno appena varato misure restrittive sul petrolio russo, le cui entrate sono cruciali per il già in affanno budget federale.

L’obiettivo è una tregua

In conclusione, le parti in lotta si parlano e questo è positivo. I progressi negoziali saranno, però, lenti fino all’accelerata finale. Il primo obiettivo da raggiungere è comunque la tregua. Facilmente il Cremlino privilegerà in un secondo momento lo scenario del ritorno al «conflitto congelato» come tra il 2015 e il 2022, ma spingerà dietro le quinte per una riduzione delle sanzioni e la possibilità di tornare a vendere energia all’Ue. I prossimi incontri saranno pertanto decisivi per mantenere accesa la flebile speranza di fermare questo spaventoso spargimento di sangue.

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