
L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 08 Ottobre 2025
La violenza di piazza se non c’è mediazione
ITALIA. Si sapeva dell’indignazione, covata nel Paese, per il massacro in atto del popolo palestinese. Si sapeva che l’indignazione era salita ad un livello tale che scuoteva ormai le coscienze di una larga maggioranza dell’opinione pubblica.
Si sapeva per esperienza che l’annunciata protesta di piazza, prevedibilmente di massa, avrebbe potuto essere accompagnata da qualche momento di tensione. Malauguratamente, forse, anche da qualche marginale scontro con le forze dell’ordine. Non si pensava - e la sorpresa è stata grande, così come è stata unanime la condanna - che si sarebbero verificati autentici episodi di guerriglia urbana. La sorpresa, e la conseguente condanna, sono state grandi. Non solo perché non era stato messo in conto che una manifestazione di protesta per la violenza a danno di un intero popolo potesse dar vita a sua volta ad altra violenza, ma per il carattere tanto devastante che poi ha assunto.
Grandi mobilitazioni di piazza - non c’è bisogno di scomodare la storia - sappiamo che comportano momenti di tensione tra manifestanti e forze dell’ordine pubblico. Così è sempre stato e così sempre sarà. Tuttavia, non sempre, o meglio quasi mai, abbiamo assistito ad uno sciopero contrassegnato da una violenza gratuita come si è visto a Milano in occasione della manifestazione a sostegno del popolo palestinese. Val la pena quindi di riflettere su questo tratto di novità che caratterizza la violenza di piazza, andata in scena nel capoluogo lombardo. Non solo perché è facile prevedere che si ripeterà e che quindi è bene prenderne le misure. Ma soprattutto perché è bene capirne il carattere se si vuol adottare misure di contrasto efficaci.
Il significato di questa violenza
Non crediamo di fraintendere la realtà se affermiamo che la violenza messa in scena nella capitale lombarda presenta caratteri di assoluta novità. La violenza, di cui sono state occasione o espressamente causa le mobilitazioni di massa del passato, ha cambiato nel tempo modalità e forme. Una violenza che è stata anche molto aspra, ma che fino ad oggi ha mantenuto una sua endogena costante: era originata e guidata da quella che potremmo chiamare «ragion politica». A generarla potevano essere grandi scioperi sindacali, grandi manifestazioni politiche, talora anche scoppi di collera spontanei, ma sempre prima o poi era governata da una forza che alla fine sapeva incanalarla nell’alveo istituzionale. Poteva avere una ragion d’essere nelle gravi sofferenze/ingiustizie sociali, uno scopo, come miglioramenti delle condizioni di lavoro, contrattuali, o lotta a scelte politiche non condivise, modalità diverse come scioperi o altra forma di lotta anche radicale (l’occupazione di luoghi aziendali o pubblici) che ne orientavano l’iter verso un obiettivo prevedibile e già programmato in precedenza. Quel che conta, erano governabili e spesso erano effettivamente governate o da un attore politico o da uno sindacale.
Nell’immediato dopoguerra, soprattutto le campagne ma anche le officine furono teatro di grandi scioperi per le condizioni di vita drammatiche dei lavoratori e la gravità della congiuntura postbellica. Episodi di violenza furono frequenti, si contarono anche dei morti, ma il conflitto sociale alla fine incontrò una mediazione tra le parti: datori di lavoro e scioperanti. Negli anni Cinquanta ci furono grandi scontri di piazza anche specificatamente in nome della pace. Ma i Partigiani della pace, così si chiamava la loro organizzazione, era espressione di una parte politica (la sinistra socialcomunista) e questa sapeva cosa fare e fin dove arrivare. Gli anni Sessanta hanno visto l’esplodere della questione sociale in termini così vasti e con modalità spesso così estreme che fece balenare il pericolo di una guerra civile, prospettiva che divenne quasi realtà negli anni Settanta, non a caso chiamati «anni di piombo». Sempre però la violenza, anche quando assunse l’aspetto del terrorismo, era espressa da una ragione politica, e ciò la rese dominabile da una ragion politica contraria, debitamente concordata tra i partiti costituzionali.
A Milano
La violenza cui abbiamo assistito a Milano è altra cosa. Non si tratta semplicemente di una tracimazione della rabbia di un gruppo di manifestanti. Non è nemmeno frutto dell’incursione di un gruppo di violenti di mestiere, come lo sono i «black bloc». Presenta un elemento di novità. Questo è rappresentato dal carattere politicamente cieco e inconsulto che la contraddistingue. Cieco, perché chi la anima non vede, non vuol uno sbocco al suo esercizio. Inconsulto, perché non è motivata da una ragione politica definita se non quella di essere esercitata per se stessa. È purtroppo il segno dei tempi e quindi dobbiamo aspettarci che quella andata in scena non sarà un’eccezione, ma una costante dei prossimi tempi.
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