L'Editoriale
Martedì 25 Novembre 2025
L’astensione, le parole preoccupate ma retoriche
ITALIA. La vera notizia, l’elemento politico più importante di questa tornata elettorale, è il pesantissimo astensionismo che l’ha caratterizzata.
Sono andati a votare in Veneto, Campania e Puglia quattro italiani su dieci segnando dai dieci ai tredici punti di differenza con le ultime elezioni nelle tre regioni. È un segnale di profonda disaffezione del corpo elettorale al limite della delegittimazione a cui, almeno a giudicare dalle prime dichiarazioni, i vari esponenti politici dedicano parole di retorica preoccupazione, concentrati come sono sui loro interessi di partito.
L’unico test non scontato era quello campano. La Regione governata fin qui da un governatore come Vincenzo De Luca, elettoralmente fortissimo ma costretto a mettersi da parte, sembrava potesse essere conquistabile da parte di un centrodestra che aveva scelto un candidato potente come Edmondo Cirielli, salernitano, da sempre avversario di De Luca fin dai tempi in cui era presidente della Provincia e duellava con il «sindaco sceriffo». Cirielli ha perso mandando in frantumi la speranza di Giorgia Meloni di prendersi con un suo uomo una regione importante e popolosa come la Campania, con quello che sarebbe stato interpretato come il preavviso di un nuovo trionfo nazionale della coalizione di governo e soprattutto di Fratelli d’Italia.
Il contributo del M5S
Viceversa ha vinto il «campo largo» nonostante l’obiettiva debolezza del suo candidato, Roberto Fico, figura tutto sommato secondaria nonostante sia stato anche presidente della Camera, privo di esperienza amministrativa e punzecchiato per tutta la campagna elettorale da De Luca. Il timore era che il vecchio governatore volesse far mancare i suoi voti al grillino in una sorta di «cupio dissolvi»: ha scelto invece l’altra strada, quella di far pesare i propri voti per poter condizionare il successore nel potere locale, soprattutto nella sanità. Del resto il contributo dei pentastellati al successo della coalizione non pare essere stato particolarmente brillante in nessuna delle tre regioni.
Anche in Puglia vince il campo largo
Come in Campania, anche in Puglia ha vinto l’alleanza del Pd, di AVS e del M5S, e dunque si è rafforzata la posizione di chi, come Elly Schlein ha «testardamente» lavorato per questa intesa nonostante le tante contraddizioni che incontra, non ultima l’ambiguità di Giuseppe Conte sempre alla ricerca di una leva per poter un giorno tornare a Palazzo Chigi. In Puglia, dicevamo, questa alleanza porta il nome di Giuseppe Decaro, votatissimo negli anni passati da sindaco di Bari e adesso da neo governatore. Decaro è riuscito a liberarsi anche della pesante eredità del suo ingombrante padrino elettorale, Michele Emiliano, per due mandati capriccioso signore della Puglia.
Stefani, la scontata vittoria in Veneto
Sull’altro fronte, scontata la vittoria in Veneto del leghista Alberto Stefani che apre la stagione del dopo Luca Zaia, un altro governatore forte costretto a farsi da parte nonostante l’enorme patrimonio di voti che portava in dote. Stefani ce l’ha fatta perché Zaia lo ha fatto votare mettendo (come De Luca in Campania) una ipoteca sulla libertà di movimento del successore. In laguna la vera incognita era semmai la corsa elettorale tra la Lega e Fratelli d’Italia: Meloni, che avrebbe voluto un proprio uomo alla guida della Regione, non è riuscita a compiere almeno il sorpasso di FdI sul Carroccio che invece resta primo partito. È un risultato che rassicura Matteo Salvini al quale tuttavia resta da risolvere il problema della collocazione di Luca Zaia, forse da sindaco a Venezia, chissà.
Per concludere, quest’ultimo giro elettorale finisce alla pari: tre regioni al centrosinistra (Puglia, Toscana e Campania) e tre invece al centrodestra (Calabria, Marche e Veneto). Però, mentre i partiti si ipnotizzano davanti al pallottoliere del potere, sei italiani su dieci rifiutano qualunque proposta politica e restano a casa.
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