L’autunno del governo, una strada in salita

IL COMMENTO. Meloni sapeva benissimo che la luna di miele non sarebbe durata sempre anche perché era facile prevedere che, una volta al governo, le generose promesse, fatte in campagna elettorale, sarebbero state in parte ridimensionate, in parte rinviate a tempi migliori, e per il resto mandate in cavalleria. Forse, però, la premier non si immaginava un percorso tutto in salita. E che salita. Se n’è resa conto in questi giorni.

La strada si sta pericolosamente impennando in un autunno, non caldo, ma caldissimo. Il problema è che non si aspettava di aver margini di manovra così stretti da ripiegare sulla politica della lesina, per nulla vantaggiosa elettoralmente

I margini di bilancio, a colpi di Superbonus senza coperture, le si sono paurosamente ristretti. È diventato impraticabile qualsiasi serio intervento di carattere sociale: né la riduzione del carico fiscale né il sostegno ai consumatori provati dal peso crescente del costo della vita, tanto meno il potenziamento del «welfare state». Pochi spazi per un sostanzioso aumento delle pensioni, per un maggior finanziamento a scuola e sanità. per il contrasto al crollo demografico, per un supporto alla natalità, all’infanzia e ai giovani, fino ad oggi lasciati senza tutele ad affrontare le prime, precarie esperienze di lavoro.

A rendere irta la strada non c’è, comunque, solo la scarsità delle risorse disponibili. C’è anche lo stallo delle stesse riforme a costo zero, facili da annunciare ma difficili da attuare, vuoi perché elettoralmente costose (come la liberalizzazione delle concessioni balneari, delle licenze di taxi o degli ambulanti) vuoi perché materie politicamente incendiarie (vedi la riforma della giustizia).

Sarebbe il momento di sfoderare un progetto coraggioso e lungimirante, capace di liberare l’Italia dalle strettoie del presente e soprattutto dai pesi, dai vincoli, dai lacci che l’hanno frenata nell’ultimo trentennio, tanto da averne fatto la Cenerentola d’Europa in quanto a crescita. Purtroppo, di questo progetto non si vede traccia. Non la si vede a destra come a sinistra. La Schlein si illude di rilanciare le sorti di un Pd in nuova versione massimalista con un oltranzismo barricadero. La Meloni fatica a fare i conti con l’ibrido irrisolto del velleitario sovranismo delle origini che giustamente – e per questo è stata apprezzata – ha lasciato perdere e dell’annunciato conservatorismo liberale di cui ancora si aspetta di conoscere i contenuti. Nel frattempo è l’emergenza che detta l’agenda del governo, con tutta l’accidentalità e l’occasionalità che questa comporta. In più, con l’aggravarsi della situazione, la maggioranza di destra, invece di ricompattarsi, rischia di sfilacciarsi. Era scontato che in vista delle elezioni europee che si terranno con sistema proporzionale, ognuno dei partner si sarebbe mosso in concorrenza con gli altri alleati. Non era detto - e non è augurabile per la Meloni - che scatti una corsa a marcare le distanze, o a contrapporsi: la Lega con Marine Le Pen e il generale Vannacci, quell’estrema destra europea cui FI è ostile, Fratelli d’Italia incerto tra il corteggiare e il contrastare il Ppe nel tentativo di formare a Strasburgo una maggioranza senza i socialisti.

Rispunta nella dirigenza di FdI il richiamo al complottismo, il vizio politico tipico di chi vuole scaricare su un nemico esterno le difficoltà interne. Nel mirino sono finiti la Bce e la sua rincorsa dei tassi d’interesse, l’Europa e la sua sordità alle invocazioni d’aiuto dell’Italia sugli sbarchi degli immigrati, le banche colpevoli di aver accumulato extraprofitti. Prima la Meloni si sottrae a questa tentazione e meglio sarà per la sua leadership, e per le sorti dell’Italia.

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