(Foto di Ansa)
ITALIA. Oplà! Conte ha fatto un’altra delle sue acrobazie.
Lo abbiamo perso di vista un momento e ce lo ritroviamo da tutt’altra parte. Lo abbiamo lasciato ch’era all’estrema sinistra, lo scopriamo dalle parti dei moderati. Ieri con la Cgil, oggi con la Cisl. Una settimana fa con Avs e Landini, con Schlein a rincorrerlo a sinistra, oggi in rotta verso il centro. L’avvocato del popolo ha subito una folgorazione su due temi: la sicurezza e la patrimoniale. Pur continuando ad attribuire la colpa del degrado della vita nelle grandi (e nelle piccole) città alla destra, Conte non ha avuto problemi a far propri l’allarme delinquenza del governo Meloni e a sintonizzarsi col coro dei cittadini infuriati con intrusioni e furti in casa, borseggi di strada, violenze di quartiere. Se non è una giravolta la sua, è certo una brusca virata.
Stessa capriola con la patrimoniale. Il capo dei Cinquestelle ha scoperto che l’imposta che dovrebbe far piangere i ricchi fa piangere anche i piccoli proprietari. E allora, pronta retromarcia. Mentre la sinistra va in brodo di giuggiole a sentire che a New York, la città icona del capitalismo, il sindaco socialista invoca la patrimoniale, e subito se ne fa promotrice, Conte glissa. Se ne lava le mani, obiettando che non è nel programma del campo largo. Bocciata.
Si dimentica che solo un anno fa il M5S ha proposto un’aliquota progressiva sui patrimoni superiori ai 4,5 milioni. Si dimentica anche che in Europa il suo partito è nel gruppo Left, parola che in italiano significa sinistra e in Europa estrema sinistra. È anche vero che nel campo progressista regna un po’ di confusione. La patrimoniale è una sorta di araba fenice che muore e risorge a piè sospinto, ogni volta per di più in fogge e dimensioni diverse.
Per Landini dovrebbe essere un’imposta nazionale che colpisce i patrimoni oltre i due milioni, ossia 500.000 italiani. Per Schlein riguarderebbe solo i patrimoni miliardari (l’1% degli italiani), a condizione poi che la applichino in tutta Europa (ovvero, mai).
Per Conte era da applicare l’anno scorso, per nulla quest’anno. E ancora. L’Autorità garante della Privacy è da liquidare: ma il suo collegio non era stato nominato dal governo M5S e Pd? Dichiara fuorilegge la governance della Rai, compreso il suo consigliere?
L’avvocato del popolo non è nuovo a reinventarsi. È da quando ha esordito che spiazza avversari, soci, iscritti, elettori. Ha fatto il suo primo governo d’amore e d’accordo con la Lega, il secondo con la sinistra (il Pd), con cui poi si è (alle sue condizioni) allineato.
In Europa il suo partito siede tra i banchi della Left, in Italia ieri con la sinistra, oggi coi moderati. Ha insidiato a lungo Schlein sul fronte sinistro, oggi sul fronte dei moderati. Il suo adagio in versione musicale potrebbe essere: «destra e sinistra per me pari sono».
Il campo largo non ha pace. C’è chi entra (Italia viva) e c’è chi esce (Azione). C’è chi si dispone a sinistra e il giorno dopo si sposta a destra. Non è il caso, però, di fare del moralismo a buon prezzo. È la politica, bellezza! (almeno così si dice). Volendo dirla in modo cinico: quello di Conte non un vizio, ma un’arte.
Cerca il tema, il posizionamento, la battaglia che al momento giudica più conveniente. I puristi dell’ideologia (forse anche alcuni dei Cinquestelle) se ne possono scandalizzare. I fatti gli danno comunque ragione. Pur con una dotazione di voti modesta riesce a guidare lui le danze del centrosinistra.
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