
(Foto di Ansa)
ITALIA. Due nuove manifestazioni di pacifisti a Roma, dopo quella del 7 giugno organizzata ufficialmente dai partiti di sinistra a Piazza San Giovanni a Roma.
Questa volta nella Capitale, tra il Colosseo e Porta San Paolo, hanno sfilato le associazioni: quasi cinquecento sigle. Al primo corteo, organizzato da Cgil, Arci, Acli, Anpi, Fondazione Perugia-Assisi, ecc. si lanciavano slogan contro il piano di riarmo varato dalla Commissione europea, proteste cui hanno aderito due partiti come il M5S e AVS (presenti con Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli) che al Parlamento europeo votarono contro il progetto della Commissione. Il Pd invece non ha sottoscritto la piattaforma e quindi la segretaria Elly Schlein non era presente (è volata a Utrecht ad una manifestazione della sinistra europea) ma ha lasciato libertà di aderire, sicché in piazza si sono visti parecchi dei parlamentari a lei vicini, o da lei fatti eleggere, come Sandro Ruotolo, Paolo Ciani, Marco Tarquinio, Arturo Scotto, Cecilia Strada, che sfilavano «a titolo personale».
L’altra manifestazione è stata organizzata invece da Potere al Popolo, Usb, Cambiare Rotta e le varie associazioni palestinesi, comprese quelle che considerano la strage di ebrei del 7 ottobre «il primo atto di una rivoluzione» - quella di Hamas, evidentemente - per liberare la Palestina «dal fiume al mare», ossia dal Giordano al Mediterraneo, dunque con l’obiettivo di eliminare lo Stato «terrorista» di Israele, «vero pericolo per la pace mondiale».
La distruzione dello Stato ebraico è l’obiettivo costituzionale dell’Iran degli ayatollah, e non sarà un caso che lo slogan di Potere al Popolo che si è visto ieri nelle strade dica: «Giù le mani dall’Iran». Sempre per questo motivo sono state bruciate le bandiere di Israele, dell’Europa, della Nato e le gigantografie di Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Nessun riferimento, nessuna condanna di Putin e dell’aggressione russa all’Ucraina, nessuna solidarietà a Kiev, nessuna richiesta di liberare gli ostaggi israeliani dai sotterranei dei terroristi palestinesi, tantomeno nessuna condanna di Hamas. C’è chi ha scritto che delle due manifestazioni, l’una era il non detto dell’altra. Nel senso che le parole più «politiche» e in qualche modo più moderate che si sono ascoltate dalle parti dei partiti e delle organizzazioni a loro organiche, sono state tradotte brutalmente e in slogan e gesti nel corteo accanto, gestito soprattutto dai centri sociali e dai palestinesi (l’anno scorso il ministro Piantedosi proibì a quelle associazioni di celebrare in pubblico il 7 ottobre).
Insomma, due anime della sinistra separate ma anche collegate con almeno i due partiti che si ripropongono di pescare voti in quel bacino elettorale in nome del pacifismo. Chi è più in difficoltà è il Pd che sta in parte col popolo che considera von der Leyen una pericolosa guerrafondaia, e in parte no, dal momento che quando al Parlamento europeo si votò nello specifico il ReArm Europe, dei 21 europarlamentari democratici otto votarono a favore e in tredici si espressero contro (tra loro tutti i partecipanti al corteo di ieri). E così è sempre più stretta nell’angolo l’area riformista che ha subito l’adesione di Schlein al referendum della Cgil, poi fallito, contro le leggi del governo Renzi, poi ha visto le varie manifestazioni contro Israele e l’Ue, e infine ha saputo che la segreteria aveva autorizzato la firma alla mozione comune con M5S e AVS per chiedere al governo italiano di rompere la collaborazione militare da sempre attiva con Israele. Prima o poi ci sarà un momento della verità in questa forzata convivenza tra le due anime che si contendono lo spazio nel Partito democratico. A meno che quel momento non si già arrivato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA