Le linee rosse di Putim
sul dialogo del disarmo

Russia e Occidente si sono finalmente parlati. Rappresentanti del Cremlino e quelli americani, nonché dell’Alleanza atlantica, si sono detti in faccia cosa pensano gli uni degli altri. Adesso Mosca aspetta a breve una risposta alle sue «proposte», alcune delle quali etichettate dalla controparte come degli «ultimatum». A Ginevra, Bruxelles e Vienna non vi è stata alcuna trattativa. La grande diplomazia è rimasta assente. Sul tavolo vi erano appunto le «linee rosse» da non valicare, tracciate da Vladimir Putin.

La speranza è che gli occidentali abbiano ora compreso meglio le preoccupazioni di Mosca e in futuro ne tengano conto, facendo anche dei passi incontro alla Russia. Parlare di sicurezza europea, dimenticandosi degli interessi nazionali di quel Paese, è un esercizio con poco senso. Questo non significa, però, che si possa tornare al mondo delle sfere di influenza come nel XX secolo o arrivare a una nuova «Jalta».

Ogni Stato sovrano, in questo caso l’Ucraina o la Georgia, ha diritto nel mondo globalizzato del XXI secolo di scegliere liberamente con chi allearsi in campo internazionale e di non essere costretto a stare in camice di forza, disegnate da altri. Invece, a trent’anni dal crollo dell’Urss il Cremlino si ostina - e questo è uno dei punti di frizione - a non riconoscere di aver perso la prima Guerra Fredda e a non accettare le conseguenze (ossia l’allargamento a Est della Nato) che tale sconfitta ha determinato.

Al momento è più che altro urgente una riflessione approfondita sulla sicurezza continentale e sul disarmo atomico globale, argomenti su cui si può trovare l’intesa. I russi hanno proposto agli europei di bandire i missili a medio e a corto raggio, evitando di tornare agli scenari di inizi anni Ottanta. Tale situazione è diventata di nuovo possibile dopo l’uscita unilaterale degli Usa di Donald Trump dal trattato Inf del 1987.

Mosca pretende allo stesso tempo che le cosiddette «armi pesanti» non si avvicinino ai suoi confini, venendo dislocate in Paesi da poco diventate membri della Nato. Ossia che queste armi rimangano ad ovest dell’Oder. Quest’anno, invece, è prevista l’installazione di missili in Romania e Polonia nel quadro dello «scudo» contro lanci isolati di Stati «canaglia», leggasi Iran.

Sul discorso disarmo globale russi e occidentali paiono d’accordo, ma il tentativo di portare la Cina all’interno dei trattati non ha dato finora frutti. E difficilmente li darà nel breve periodo. Per la prima volta dal 1945 si rischia una guerra di ampie proporzioni, avverte l’Osce, la custode della sicurezza continentale. Grandi manovre contrapposte, bombardieri strategici che volano a contatto di gomito, dichiarazioni velenose dei leader. Va già bene che non ci sia scappato l’incidente fortuito, mentre i potenziali «casus belli» si moltiplicano.

Così si rimane sul precipizio, mentre una seconda Guerra fredda appare come il male minore. Adesso cosa farà il Cremlino davanti ad un quanto mai probabile «no» occidentale alle sue «linee rosse» o a una richiesta di allungamento del negoziato? Installerà suoi missili a Cuba e in Venezuela per far sentire alla Casa bianca cosa si prova ad essere nel mirino dei «vicini»? Invadere l’Ucraina, quando Kiev è pronta e armata fino ai denti, appare un’azione azzardata.

In ultimo, il dialogo fra sordi visto la settimana scorsa non è solo dovuto a opposte concezioni «autodeterminazione dei popoli» contro sogni di «imperi». Putin vuole entrare nella storia, riconsegnando ai russi il loro spazio vitale, oltre agli attuali confini federali, ricreando una mini-Urss.

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