Le scintille su Kiev preoccupano il Quirinale

Esteri. La linea del governo sull’Ucraina è quella e non cambia: da Mario Draghi a Giorgia Meloni si sta con gli aggrediti e contro gli aggressori, si mandano aiuti e anche armi, ci si allinea alla Nato, alla Casa Bianca e all’Europa.

«L’Italia non tentenna», ha detto la presidente del Consiglio davanti a Zelensky durante la sua visita a Kiev. Ma pochi minuti prima proprio Zelensky – assai poco diplomaticamente - aveva attaccato alzo zero Silvio Berlusconi per le sue posizioni filoputiniane. La premier lì per lì non si è scomposta troppo, si è limitata a ricordare che in Parlamento nessuno nella maggioranza si è mai differenziato quando si è trattato di approvare il sostegno e gli aiuti al paese aggredito dai russi.

Da Arcore in quei momenti Berlusconi si sarà morso la lingua e, fatto insolito per lui, non ha ribattuto alle accuse sarcastiche di Zelensky: «Tu non sei mai stato bombardato a casa tua a causa del fraterno aiuto russo». Il quale fraterno aiuto a Berlusconi dal Cremlino è subito arrivato con un attacco virulento proprio contro il nemico ucraino. Ma si sa il Cav è un vecchio amico di Putin, il compagno di vacanze che gli invia «casse di vodka per il compleanno». Lusingato dalla difesa moscovita, il Signore di Arcore ha conservato il silenzio in pubblico ma tutti sanno che a villa San Martino c’è come un vulcano che fuma e che potrebbe eruttare in ogni altro momento. Sull’Ucraina Berlusconi è disposto a incrociare le lame con Meloni, a farsi persino sospendere dal Ppe, a dover accettare correzioni alle sue parole dal pur fedelissimo suo pupillo Antonio Tajani nelle vesti di ministro degli Esteri di un Paese decisamente schierato contro la Russia.

C’è chi scrive che dal Quirinale si guarda con preoccupazione a questa situazione di instabilità profonda della coalizione di centrodestra: si confida soprattutto sulla capacità di Meloni di tenere a bada gli alleati e di richiamarli agli obblighi internazionali. Già, perché a esser critico sull’Ucraina non c’è solo Berlusconi ma anche Salvini, a suo tempo apertamente sodale di Putin e del suo partito Russia Unita. Però il capo della Lega da tempo ha deciso di non intervenire più di tanto sulla questione, si è fatto sentire soltanto per criticare l’annunciata (e mai avvenuta) presenza di Zelensky a Sanremo ma per il resto sta bene attento a non pronunciare verbo quando Berlusconi parla e mette in difficoltà il governo. Non lo appoggia ma nemmeno lo smentisce: deve essere questa la linea concordata con i suoi.

Non c’è dubbio che proprio la critica alla posizione italiana sulla guerra sia un collante obiettivo per i due partiti di governo che devono pur prendere qualche iniziativa per contare nelle partite di potere e arginare Fratelli d’Italia. I numeri non sono dalla loro parte: insieme sommano la metà dei voti di Meloni, però senza di loro Giorgia non governa, e se vogliono possono rendere la vita difficile ad una leader che, a loro giudizio, ha un po’ troppo la tendenza a fare da sola. Per esempio nella grande gara che si è già aperta per il rinnovo dei vertici delle tante società pubbliche.

Ci sono centinaia di posti di consiglieri di amministrazione, amministratori delegati, direttore generali, presidenti, vicepresidenti e sindaci da distribuirsi. Fratelli d’Italia è deciso a fare la parte del leone ma Lega e Forza Italia non hanno alcuna intenzione di raccogliere le briciole da tavola. Salvini ha già mandato un messaggio chiarissimo: secondo lui Eni, Enel e Rai «devono cambiare passo».

E c’è da pensare che i due partiti minori della coalizione cercheranno in tutti i modi di procedere insieme per condizionare la destra-padrona. Anche a questo, in fondo, può servire la politica estera.

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