Le tensioni del conflitto rimescolano la politica. La pace chiede atti concreti

Proviamo ad uscire un momento dalla diatriba che sembra tanto appassionare - e dividere - l’opinione pubblica italiana: armi sì/armi no, armi difensive/armi offensive, armi leggere/armi pesanti, iniziativa diplomatica dell’Europa/allineamento con gli Usa, pace ad ogni costo/pace solo con salvaguardia dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Lasciamo da parte il dibattito politico e guardiamo alle dinamiche che, aldilà dei nostri orientamenti politici, ha messo in moto l’invasione russa dell’Ucraina.

La novità più rilevante da registrare è che la guerra ha portato a un inedito riallineamento dei partiti. Avviene sempre quando sopraggiunge un evento traumatico che non si inserisce nelle vecchie appartenenze politiche e che anzi spinge a scomporle. Per restare al ruolo dirompente esercitato dalla guerra, basti ricordare l’impatto esercitato dall’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Subito saltò la distinzione destra/sinistra. Ne seguì la divisione neutralisti/interventisti. I partiti ne risultarono sconvolti. I liberali si divisero tra sostenitori di Salandra e di Giolitti. I socialisti poi vennero letteralmente travolti. Non fu solo il massimalista Mussolini a disertare clamorosamente la causa del neutralismo ma anche vari riformisti come Leonida Bissolati, Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli e persino il futuro leader comunista, allora giovane volontario, Palmiro Togliatti.

Anche oggi assistiamo a qualcosa del genere. Tutti i maggiori partiti, nessuno escluso, sono stati investiti dalla frattura sul comportamento da tenere nei confronti della guerra in corso. Al momento, tuttavia, non s’è consumata nessuna irrimediabile rottura. È indubbio però che sia in atto un riposizionamento all’interno dei partiti e, ancor più, dentro le coalizioni che, nel malaugurato caso di un prolungamento del conflitto, potrebbe sfociare in uno sconvolgimento delle attuali alleanze. I distinguo sono già evidenti. Nel centro-destra non si vede come possa reggere l’unità, persistendo la contrapposizione tra Fi e Lega: l’una orgogliosamente atlantica, l’altra folgorata da un pacifismo che tende a far sfilare l’Italia dal fronte occidentale. Nel centro-sinistra, solo la consapevolezza del disastro elettorale cui andrebbero incontro M5S e Pd presentandosi con liste separate mette la sordina alla contrapposizione tra un Letta pienamente allineato sulle posizioni filo-atlantiche e un Conte che, ogni giorno di più, si mostra contrario a sposare la causa di un sostegno militare all’Ucraina. Lo scenario che parrebbe delinearsi è un riavvicinamento tra il Capitano leghista e l’ex avvocato del popolo; il che ha fatto ventilare l’ipotesi di un ripristino dell’alleanza giallo-verde stretta all’inizio di legislatura. Con le dirompenti conseguenze del caso facilmente intuibili. Non a caso si sta parlando di cambiare il sistema elettorale in senso proporzionale in modo da permettere a ogni partito di presentarsi alle urne con le mani libere. Lo scompaginamento dei poli di destra e sinistra è solo la proiezione di un potenziale esito delle tensioni scatenate dalla guerra in Ucraina. Aspettiamo un mese e, in occasione del voto amministrativo di giugno, avremo una prima verifica degli umori serpeggianti nel Paese. Nel frattempo, ci ha pensato Draghi a scomporre i giochi pre-elettorali dei partiti, proponendosi come colomba a coloro che lo accusavano di essere un falco. Nell’incontro avuto con Biden, ha infatti sorpreso un po’ tutti avanzando una proposta capace almeno di scongelare il dialogo tra le parti in conflitto. Ha sollecitato una riapertura dei porti per far arrivare il grano ucraino in quei, molti, Paesi che rischiano altrimenti una devastante carestia. La pace ha bisogno di atti concreti, molto più che di prese di posizione ideologiche.

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