L’incubo
di una Seconda
Guerra fredda

La Seconda Guerra fredda è dietro l’angolo. Venerdì 17 dicembre «l’ultimatum» – o perlomeno come è stato inteso nelle cancellerie dei riceventi – è stato consegnato agli ambasciatori occidentali, accreditati a Mosca. In breve: si chiede il ritorno in Europa centrale alla situazione militare del 1997; si propone di impegnarsi a non dislocare missili a medio e a corto raggio, come negli anni Ottanta; si mira a impedire che Stati sovrani facciano le proprie scelte in campo internazionale in nome della passata appartenenza sovietica. Poche sono le possibilità che Stati Uniti, Unione europea e gli altri Paesi del G7 si pieghino a tali richieste.

Le ferite ancora aperte dal 2014, la crisi energetica, le ultime dichiarazioni infuocate incidono su questa situazione. Le telefonate tra l’americano Biden e il russo Putin di fine anno, nonché il fitto calendario di incontri tra il 10 e il 13 gennaio, indicano che le Potenze perlomeno si parlano ancora. Autocrazie (Russia e Cina), quindi, contro democrazie. Campi di battaglia, per adesso, dove mostrare i muscoli: Ucraina e Taiwan. Sterminata contiguità territoriale opposta a dominio quasi assoluto degli oceani. Revanchismo da post crollo dell’impero sovietico mischiato a volontà di nuova egemonia globale contro difesa dei valori democratici e liberali.

L’ultima volta i due schieramenti in lotta (comunista e capitalista) si affrontarono per 4 decenni militarmente in teatri terzi, spesso periferici, ma mai direttamente. Anche perché il rischio di apocalisse è reale. La deterrenza nucleare evitò follie. La potenza economica e quella tecnologica fecero, alla fine, la differenza.

Ma ora che cosa succederà? Al momento si attende la prima mossa bellicosa: gli Stati Uniti credono che Mosca presto attaccherà l’Ucraina, desiderosa di aderire alla Nato, già rifornita dalla Casa Bianca di armi leggere e da Ankara dei super sofisticati droni turchi, capaci di fare la differenza in Nagorno-Karabakh qualche mese fa.

Kiev ha chiesto a Washington di essere equipaggiata anche con sistemi di difesa terra-aria e armi pesanti. Il suo esercito, si badi bene, non è quello disorganizzato e arrendevole del 2014 e, stando alle rilevazioni, la popolazione ucraina è pronta a difendersi in caso di invasione.

Per ora le diplomazie hanno organizzato d’urgenza tavoli negoziali per discutere delle richieste del Cremlino e resuscitare il processo di Minsk per riportare la pace in Donbass (Ucraina orientale).

L’unica novità delle ultime ore è che la tradizionale neutrale Finlandia ha balenato anch’essa l’ipotesi di aderire alla Nato e la Svezia la potrebbe seguire a ruota.

Dopo il 13 gennaio il mantenere aperti canali di dialogo sarà vitale per evitare il disastro. Potrebbe non essere casuale che, all’improvviso, Papa Francesco si sia detto disposto ad andare a trovare a Mosca il «fratello», Kirill, capo degli ortodossi russi.

In caso di precipitare degli eventi – oltre a scontri tradizionali sul terreno, forse in teatri terzi – è bene prepararsi ai conflitti del 21esimo secolo. Ossia a battaglie anche in altri campi: cibernetico (militare e civile), spaziale, comunicativo. Chi ha più fantasia la metta in azione per avvicinarsi alla nuova tragica realtà.

I settori finanziario ed energetico verranno di certo investiti dai belligeranti. Gli occidentali chiuderanno il sistema Swift, isolando il sistema bancario federale; i russi risponderanno bloccando o quasi le forniture d’energia.

Insomma, siamo davanti ad un incubo. Lo spingersi troppo in là sul precipizio potrebbe riservare pessime sorprese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA