Materie prime, l’Ue non sbagli

Esteri. Dal conto più salato della spesa al mercato alle bollette di luce e gas più care: noi italiani, come molti altri europei, da un anno abbiamo toccato con mano le conseguenze negative della dipendenza energetica da un singolo Paese dominante.

La Russia all’inizio dell’invasione dell’Ucraina era il nostro principale fornitore di energia, parliamo di petrolio ma soprattutto di gas naturale, e fin dalla vigilia della guerra aveva cominciato a utilizzare i propri gasdotti come un’arma geopolitica con cui esercitare pressione sull’opinione pubblica occidentale. L’inflazione, per quanto fortunatamente in lieve calo da un paio di mesi, è figlia soprattutto di questa nostra dipendenza energetica che si è rivelata un punto debole nel momento in cui Mosca ha deciso di far pesare la propria posizione di forza.

Ora che ci affrettiamo sulla strada della transizione ecologica, puntando soprattutto su fonti di energia rinnovabile, non rischiamo forse di commettere lo stesso errore? Non rischiamo cioè, come europei, di diventare dipendenti da qualche altro Paese, magari con interessi geopolitici non allineati ai nostri? Il punto è che le tecnologie necessarie a trasformare sole, vento, acqua ecc. in energia utilizzabile, come anche quelle vitali per accumulare la stessa energia, per esempio le pale eoliche o le batterie per le auto elettriche, per essere fabbricate e funzionare necessitano di alcune «materie prime critiche» che in Italia e in Europa al momento scarseggiano. La Cina, all’opposto, controlla il 56% della capacità globale del litio, il 60% del cobalto e il 58% del manganese raffinati. Non è finita qui. Oltre alla concentrazione di tali minerali in alcuni Paesi, in molti casi gli stessi Stati hanno rafforzato la propria presenza lungo tutto il ciclo produttivo delle materie prime critiche: sempre la Cina non controlla solo la raffinazione del cobalto, ma alcune importanti miniere da cui viene estratto in Congo, arrivando così a produrre direttamente il 13,8% di tutto il cobalto del mondo.

Se la storia recentissima degli idrocarburi russi non fosse sufficiente a far suonare un campanello d’allarme sui rischi che corriamo, allora torniamo brevemente con la memoria a tredici anni fa. Nel 2010, infatti, la Repubblica Popolare - guidata allora dal presidente Hu Jintao (suo vice all’epoca: l’attuale leader Xi Jinping) – era coinvolta in un’aspra disputa territoriale con il Giappone. Per forzare la mano di Tokyo, Pechino bloccò – anche se solo temporaneamente – l’export di terre rare verso il Paese del Sol Levante, mettendo in seria difficoltà le aziende tecnologiche nipponiche e causando un rialzo dei prezzi di alcuni manufatti hi-tech in tutto il mondo.

I dati e gli scenari citati finora sono tutti presenti in alcuni documenti pubblicati dalla Commissione europea, tra gli allegati tecnici di una proposta di normativa intitolata «European Critical Raw Materials Act». L’obiettivo della nuova bozza di legislazione è quello di «assicurare l’accesso dell’Unione europea a un’offerta sicura, diversificata, a buon mercato e sostenibile di materie prime critiche. Queste ultime sono infatti indispensabili per un insieme di settori strategici inclusi l’industria verde, quella digitale, i settori dell’aerospazio e della difesa». A Bruxelles sembra dunque essere maturata almeno la consapevolezza che non si può rincorrere la transizione green senza preoccuparsi delle materie prime vitali per sviluppare le tecnologie necessarie. È un primo passo positivo, da integrare però nella direzione indicata da un recente appello promosso dal Policy Observatory dell’Università Luiss a Roma, dal Graduate Institute di Ginevra (Svizzera) e dalla Law School dell’Università di Edimburgo (Regno Unito). Innanzitutto ideando strumenti pan-europei per estrarre, reperire, mettere in sicurezza e riciclare i minerali critici, anche nei Paesi del nostro continente che sono fuori dalla Ue; poi lavorando a una strategia comune in materia con gli Stati Uniti; infine accrescendo la trasparenza dei processi decisionali e quindi la consapevolezza, nell’opinione pubblica, che la transizione ecologica – per avere successo - deve essere sostenibile dal punto di vista sociale ed economico. Non possiamo certo permetterci l’ingenuità o gli eccessi ideologici del recente passato.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA