Mattarella raddrizza la sbandata filo leghista

Non sarà facile ricucire i rapporti tra Roma e Parigi, ed è toccato a Sergio Mattarella di cominciare a darsi da fare. Il Capo dello Stato ha sentito al telefono il suo pari Emmanuel Macron e insieme, al termine, hanno emesso un comunicato che non entra nel merito della questione migranti e del pasticcio «Ocean Vikings», ma ripete l’essenzialità della collaborazione tra l’Italia e la Francia.

Non bisogna dimenticare che proprio Mattarella è l’ispiratore del trattato italo-francese (che non a caso si chiama «del Quirinale»), siglato solo pochi mesi fa sul Colle più alto della Capitale durante una cerimonia in cui il Presidente della Repubblica e l’allora premier Mario Draghi si scambiarono con Macron abbracci di grande cordialità reciproca. E adesso che tutto sembra precipitare nelle ritorsioni e nei quasi-insulti reciproci, quelle effusioni appaiono davvero lontane: proprio per questo Mattarella si è mosso a «metterci una pezza», come dicono a Roma. Secondo indiscrezioni, il colloquio non avrebbe raggiunto una conclusione concreta (che comunque al Quirinale pensano sia un compito dei nuovi arrivati a palazzo Chigi) sui migranti, anche se si aspetta di ora in ora un qualche atto riparatorio dell’Eliseo sul mancato accoglimento francese dei 3.500 sbarcati sulle nostre coste.

Certo però Mattarella ha riaperto i canali di interlocuzione che sembravano ostruiti dalla reciproca ostilità che né gli italiani né i francesi hanno avuto accortezza nelle ultime settantadue ore di smussare. Soprattutto i cugini d’Oltralpe, per la verità, si sono distinti in dichiarazioni assai minacciose e ai limiti dell’offesa personale verso Meloni («una perdente») e dell’Italia («ci saranno conseguenze»). Ma a Roma si è anche risposto per le rime, soprattutto da fonte leghista, anzi da Matteo Salvini in persona. Ed è questo il nodo politico che la maggioranza deve sciogliere. Si è infatti visto che più i moderati del governo – Tajani e Fitto – ammorbidivano i toni con la Francia e l’Europa, più Salvini insisteva nel chiedere «il pugno duro» nei confronti dell’Ong e, in definitiva, anche dei Paesi partner, accusati di non rispettare gli impegni dei vari trattati di ricollocamento dei migranti. Ma è proprio la linea intransigente di un’ala del governo, quella rappresentata da Salvini che provoca un irrigidimento europeo tanto da mettere in ombra la mediazione di Forza Italia.

E il risultato è stata la contrapposizione: da una parte Francia, Germania, la Commissione e i vari Paesi satelliti del Nord; dall’altra Italia, Grecia, Cipro e Malta (senza nemmeno la Spagna), con il risultato di farci ripiombare nel «club Med» dell’Europa dopo che con Draghi avevamo sognato di essere entrati nella cabina di regia franco tedesca. È un nodo politico che può sciogliere solo Giorgia Meloni: decidere se seguire Salvini ma rischiare l’isolamento internazionale o perseguire una propria strada d’intesa con i soci di maggioranza dell’Unione europea. In fondo è quest’ultima la strada che viene indicata dall’iniziativa di Mattarella: come diceva Draghi, in Europa gli alleati bisogna saperseli scegliere tra chi conta, non tra chi è in fondo alla fila. Però questa consapevolezza della Meloni implica un chiarimento politico con il capo della Lega che dalla nascita del governo continua ad atteggiarsi come colui che dà la linea, detta l’agenda, indica la strada, nonostante il risultato elettorale più che deludente. Del resto anche Salvini è costretto a far così: o dimostra ai suoi che la Lega conta qualcosa di fronte a un partito come Fratelli d’Italia che ha il triplo dei voti oppure spinge la sua leadership verso la disintegrazione. È un rebus politico non di facile soluzione. Peccato che venga giocato sul terreno più delicato, quello dei rapporti internazionali dove, per consuetudine, chi sbaglia paga.

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