Nel Mondo globale l’Occidente non è finito

MONDO. La globalizzazione sta cambiando pelle, ma non è affatto entrata nei manuali di storia, come qualche osservatore scrive da tempo. La ragione è semplice: la travolgente rivoluzione tecnologica in atto ha cancellato i confini e difficilmente i dazi o altro riporteranno l’umanità indietro ad epoche precedenti.

Il dove si va oggi - o nel prossimo futuro - non è facile da intuire con certezza: troppi sono i dati a disposizione e le spinte opposte in un mondo che non dorme mai e si evolve «h24», come si suol dire. È lontana soprattutto la fine degli anni ’80, quando gli Stati Uniti aprirono alla loro manifattura l’immenso mercato cinese, ricco di manodopera a basso costo. Come lo è anche l’ottobre 2001, quando fu consentito a Pechino di entrare nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Queste due scelte hanno garantito, per decenni, merci a basso costo, ma hanno anche generato mutamenti come la graduale scomparsa in America e in Europa di industrie a basso contenuto tecnologico. Gli opulenti «anni Dieci» si sono chiusi con la tragedia del Covid, la quale ha posto in evidenza le storture di quella fase evolutiva. Ma come era possibile che il mondo dipendesse da poche fabbriche cinesi per la produzione di banali mascherine? Ci sono voluti mesi prima che esse arrivassero a destinazione.

Ma come era possibile che il mondo dipendesse da poche fabbriche cinesi per la produzione di banali mascherine? Ci sono voluti mesi prima che esse arrivassero a destinazione

In sostanza, l’eccessivo sguardo al profitto ha mostrato che interi Stati avevano demandato ad altri persino produzioni «strategiche». Allo stesso tempo chi gestiva la globalizzazione ha scoperto amaramente che gli impoveriti produttori di merci a basso costo d’un tempo avevano sviluppato capacità che, in un batter d’occhio, li ha portati a creare proprie industrie ad alto contenuto tecnologico che hanno rivoluzionato interi settori. Si pensi solo alle auto elettriche. E che i produttori più aggressivi hanno investito i profitti, generati da questo passaggio di ricchezze dall’Occidente all’Oriente, non solo per migliorare le condizioni di vita della propria popolazione ma anche in armi. Che senso ha, allora, ci si domanda, comprare materie prime o merci a basso costo se poi i Paesi più avanzati sono costretti ad investire enormi quantità di denaro nella loro difesa? Russi, cinesi, arabi ed asiatici in generale, questa la prima conclusione, hanno interpretato la globalizzazione a modo loro. Inoltre va ricordato che solo il 20% dei Paesi ha sistemi democratici. Adesso, con venti di guerra sempre più forti, il mondo è a un crocevia. Il prezzo alle stelle dell’oro è causato non solo dall’incertezza dello scenario internazionale o dalla svalutazione del dollaro ma anche dall’attacco all’America da parte dei «nuovi ricchi». È vero, le odierne politiche di Trump hanno aggravato la situazione, ma sono anni che gli «emergenti» hanno lanciato il guanto di sfida. Questi ultimi non propongono, però, modelli alternativi o riforme attuabili. L’Occidente appare in difficoltà sia contro pericoli interni, leggi populismi, sia esterni, leggi autocrazie. Tuttavia a dire che è «finito» ce ne passa. Questa immagine sbrigativa è più che altra mediatica. Il Brics, meno il Gruppo di Shanghaj, potrebbe tentare di creare un’alternativa all’Occidente, ma gli interessi dei Paesi del club divergono nel concreto.

Le politiche di Trump hanno aggravato la situazione, ma sono anni che gli «emergenti» hanno lanciato il guanto di sfida. Questi ultimi non propongono, però, modelli alternativi o riforme attuabili. L’Occidente appare in difficoltà sia contro pericoli interni, leggi populismi, sia esterni, leggi autocrazie. Tuttavia a dire che è «finito» ce ne passa

Un ruolo determinante in questa fase di trasformazione potrebbe giocarlo l’India, che continua la sua tradizionale politica da «non allineata». Il suo premier Modi ha visitato «sì» la Cina, ma prima è stato in Giappone dagli arci-rivali di Pechino. Quindi, mai dare nulla per scontato. L’Occidente ha la necessità ora di correggere l’ultima turbo-globalizzazione, intervenendo a qualsiasi costo sulle disfunzioni, se non vuole subire future scelte altrui. Combattere la frammentarietà all’interno e ritrovare l’unità di intenti sono elementi fondamentali per rilanciare la propria leadership globale ed evitare sciagure, come ad esempio le guerre sull’uscio di casa. In ultimo, servono nuove idee e inclusività mirata verso gli Stati dialoganti e non aggressivi fra i «nuovi ricchi» per trovare i nuovi equilibri.

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