
L'Editoriale
Domenica 06 Luglio 2025
Poli e partiti, confusione tra nomi e identità
POLITICA. Dovremmo esserci liberati dall’imbarazzo del nome con cui chiamare i due poli: solo destra e sinistra. E invece no.
Da quando abbiamo cominciato a sperimentare quella forma tutta italiana di democrazia dell’alternanza, è esploso il tormentone di come chiamare i due poli contrapposti. Nelle democrazie normali non ci sono problemi. Si combattono, e quindi vengono chiamati come devono essere chiamati: ossia destra e sinistra, right and left, droite et gauche. Ma noi non siamo una democrazia normale. Siamo una democrazia complicata, a cominciare dalla frammentazione dei partiti che rende la convivenza dei soci dei due poli una continua lotta per la ricontrattazione dei rispettivi ruoli. Il che aggroviglia ancor più la matassa della politica nazionale. Non ultima ragione, questa, per cui da noi la politica è per antonomasia un affare tanto complicato che gli stranieri (e sempre più anche i connazionali) rinunciano a capire il Belpaese. Ci trattano per luoghi comuni: ci rappresentano (o almeno così ci rappresentavano) come gli uomini del mandolino, della pizza, della mafia e ovviamente dei governi balneari. Siamo maestri nel complicare le cose. Stiamo ancora dibattendo se lo schieramento di destra è destra, centro-destra, destra-centro, ultradestra, destra fascista o cos’altro ancora. Parimenti, non ci è chiaro se il polo opposto sia di centro-sinistra - con o senza il trattino - di sinistra-centro, tout court di sinistra o addirittura di sinistra/sinistra.
Come tutti sanno, nomina sunt consequentia rerum (i nomi sono conseguenti alle cose): dietro l’imbarazzo dei nomi si nasconde l’imbarazzo dei progetti politici. Progetti politici che per di più mutano, anche significativamente, nel tempo e quindi richiedono nomi sempre nuovi.
Cambiamenti continui
Nella vicenda ormai trentennale della nostra democrazia dell’alternanza, i poli sono stati investiti da continui cambiamenti interni. La destra ha mutato significativamente il suo assetto interno. Ha visto primeggiare prima una forza liberal conservatrice (Forza Italia), poi una populista (la Lega di Salvini) ora una conservator-sovranista (Fratelli d’Italia). Sul versante opposto, anche la sinistra non è stata ferma. Ha infilato così tanti cambiamenti che il partito egemone dello schieramento ha dovuto cambiare più volte anche il nome (Pds, Ds, Pd), con quale ricaduta sull’identità della coalizione è facile immaginarsi.
Tra destra e sinistra
Ora che i due poli vedono insediate alla loro testa due forze dalla chiara identità (professata o rivendicata non conta), di destra l’una (FdI), di sinistra l’altra (il Pd di Schlein), dovremmo esserci liberati dall’imbarazzo del nome con cui chiamare i due poli: solo destra e sinistra. E invece no. Il centro, cacciato dalla porta, sta rientrando dalla finestra. Forza Italia di Tajani è decisa a riesumarlo per recuperare un protagonismo perso. Si ingegna a costruirsi un’identità di centro. Un giorno con la proposta di alleggerire il carico fiscale dei ceti medi, un altro (l’altro ieri) con la proposta dello ius scholae. Sul fronte opposto si è creato addirittura un affollamento di sigle in gara a chi è più di centro: Italia Viva di Renzi, Azione di Calenda, Comunità democratica dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, Centro democratico di Bruno Tabacci, Rete civica e solidale di Marco Tarquinio, Tenda riformista dell’assessore romano Alessandro Onorato, per non dire dei gruppi pencolanti tra centro, destra e sinistra: i Popolari Udeur di Clemente Mastella, Noi moderati di Maurizio Lupi, Udc di Lorenzo Cesa, Dc di Rotondi, Più Europa di Riccardo Magi, Radicali italiani di Matteo Hallissey, Coraggio Italia di Luigi Brugnaro, Nuovo Psi di Stefano Caldaro. La lista è lunga, la confusione è tanta. Anche sul nome con cui chiamare i due (?) poli. Non parliamo poi della loro, sempre incerta, identità.
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