Primi punti di rottura col governo precedente

Chi pensava, osservando soddisfatto la transizione morbida da Draghi a Meloni, a una continuità di sostanza fra il governo uscente e quello sovranista in tailleur si deve ricredere. L’uno-due del (della) premier sul tetto al contante e su quello che appare come un «liberi tutti» dal Covid ribalta il rigore e l’equilibrio ai quali eravamo abituati. Una linea completamente diversa in cui la destra fa evidentemente la destra, seguendo la logica annunciata da Giorgia Meloni: il «laissez faire» racchiuso nel motto «Non disturbare chi vuole fare», come se «ogni fare» fosse buono e per di più senza le garanzie di una elaborazione adeguata.

Il governo ha scelto il punto di rottura con le esperienze precedenti su questioni caratterizzanti e simboliche che parlano a una precisa platea, alle acquisizioni più recenti del proprio elettorato. La politica fiscale chiama direttamente in causa quale welfare si vuole e fin dove è sopportabile una disuguaglianza di reddito e di ricchezza che da noi è quasi a livelli anglosassoni, in un Paese dall’evasione di massa, indizio di un rapporto malato fra cittadini e Stato, in cui la propensione alla slealtà fiscale è sbilanciata nei confronti della minore sanzione sociale che ne deriva e dove il 12% dei contribuenti si carica sulle spalle il 58% del gettito fiscale totale.

Sui temi sociali non s’è vista finora un’enfasi adeguata ad una realtà molto seria, se non drammatica: la scena d’esordio se l’è presa il tema tasse, indicativo del peso che si assegna ai guasti vecchi e recenti del nostro tempo. La nuova soglia del contante ha un motivo contingente, perché a fine anno si scende da 2mila euro a mille, effettivamente troppo poco per le nostre abitudini, mentre il compromesso a quota 5mila euro, benché dimezzato rispetto alla richiesta leghista, sembra ancora eccessivo. È chiaro che, mettendo insieme condoni e controversa flat tax per una fascia di autonomi, si guarda ai «piccoli» che faticano a stare sul mercato, ma si tratta di uno sguardo indulgente e corporativo, da difensori di determinate categorie. Mario Monti, che è un liberale classico, ha già smontato la retorica delle pari opportunità dei punti di partenza, allestita dall’esecutivo, precisando che se non si riesce a tassare in modo equo, non si può garantire uguaglianza di opportunità e valorizzazione del merito che giustamente Meloni intende ottenere.

L’altra questione è la nuova strategia della lotta al Covid con l’addio alle mascherine, oltre a tutto ciò che segue a cascata, insieme all’idea di mettere sotto osservazione le precedenti gestioni attraverso una Commissione d’inchiesta. Un progetto nelle corde del centrodestra, che trasmette l’idea di una sorta di rivincita, di recriminazione ideologica con tre risultati politici: il soccorso di Renzi, la mano tesa all’area anti vaccini, la possibilità di mettere nel mirino Conte, il più deciso fra gli oppositori del governo, e l’ex ministro Speranza. Il tandem tasse-Covid può essere così l’occasione per un assestamento degli equilibri politici della legislatura appena iniziata. Da notare un aspetto: il tema del contante è stato posto da Salvini che ha scavalcato Meloni, un sorpasso che fa capire come la navigazione della maggioranza non sarà scontata. La competizione fra i due rimane intatta nonostante gli accomodamenti, e Salvini farà di tutto per riprendersi parte dell’elettorato migrato in FdI e per fare questo avrà bisogno di intestarsi in modo radicale alcuni temi del repertorio muscolare: dagli sbarchi alla sicurezza. La linea dura, perché ritiene sia parte di quel consenso che l’ha tradito nell’urna. Sarà una concorrenza sul lato destro, secondo le note parole d’ordine, con una mano pubblica selettiva: ora generosa ora punitiva.

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