Propaganda e politica peseranno come le armi

Il fatto più eclatante, quello di cui tutti hanno parlato e di cui si parlerà ancora, è la resa dei soldati del Battaglione Azov, per un mese asserragliati nell’acciaieria Azovstal, a sua volta ultimo bastione della resistenza ucraina nella città di Mariupol’, per il resto totalmente occupata dai russi. Un evento che ha assunto un rilievo mediatico assai superiore alla sua importanza sul campo. Mariupol’ era appunto già caduta, la tenacia e la disponibilità al sacrificio dei suoi ultimi difensori era soprattutto uno spot al coraggio dell’Ucraina nel resistere all’invasione russa.

Dei miliziani dell’Azov si è molto parlato, anche molto prima di questa guerra. Non si può fare una colpa a Zelenskyj e agli ucraini se esaltano le loro gesta. La patria attaccata ha bisogno di eroi, li si trova dove capita. E qualche volta li si inventa, come il famoso «fantasma di Kiev», il pilota ucraino di caccia al quale venivano attribuiti quaranta abbattimenti di velivoli russi. Appena i russi fecero schiantare l’aereo del campione, gli ucraini dissero che il «fantasma» non era mai esistito, ch’era stato creato ad arte per intimorire il nemico.

Del Battaglione Azov i russi, e non solo loro, hanno detto il peggio, definendolo soprattutto un covo di neo-nazisti. La cosa ha una sua importanza, per almeno due ragioni. La prima è che la «denazificazione» dell’Ucraina è uno dei pretesti che il Cremlino ha usato per scatenare la guerra. La seconda è che in effetti è vero, quella dell’Azov è una milizia che definire di estrema destra sarebbe un pallido eufemismo. Questo basta a sostenere che l’Ucraina sia governata da una banda di nazisti e che il Paese sia in mano ai nazisti o sia esso stesso nazista? Ovviamente no. Alle elezioni, politiche o amministrative, i gruppi dell’estrema destra hanno sempre ottenuto risultati modestissimi, intorno al 2/3%. Certe influenze, però, non possono essere solo contate, bisogna anche pesarle. E quella dei movimenti fascisti o neonazisti ucraini pesa. Se non fosse così, perché il generale Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate ucraine, avrebbe come braccio destro un certo Viktor Jarosh, a suo tempo leader delle milizie di Pravy Sektor, un altro dei movimenti di estrema destra? Perché Zelenskyj, e prima di lui il presidente Petro Poroshenko, avrebbero così tanto gratificato le memorie, i simboli e l’immaginario del peggiore nazionalismo?

I soldati dell’Azov e i loro simpatizzanti, però, non si sono guadagnati un posto al sole a furia di saluti romani, stemmi con l’aquila e slogan razzisti. Se sono influenti è anche, e soprattutto, grazie al fatto che nel 2014 furono i primi a correre a combattere nel Donbass per impedirne la secessione. Con una ferocia che valse loro molte accuse (anche di organizzazioni terze) di crimini di guerra, ma anche con una determinazione che, dal punto di vista di Kiev, evitò danni che potevano essere ben peggiori, visto che allora l’esercito dell’Ucraina non era nemmeno paragonabile a quello, bene organizzato e ottimamente armato, di oggi. In altre parole, quelli dell’Azov e degli altri battaglioni dell’estrema destra si guadagnarono «sul campo» gran parte delle entrature (anche presso gli oligarchi, numerosi e potenti anche in Ucraina) di cui godono tuttora.

Ci siamo soffermati su questo tema non solo perché è utilizzato dai russi per la loro propaganda, non solo perché è fonte di continui fraintendimenti e di polemiche spesso grottesche in Occidente, ma soprattutto perché in queste settimane abbiamo visto replicarsi quello che potremmo chiamare «effetto 2014». È stato facile, per molti, scambiare per «eroica resistenza» quella che per l’Azov, invece, è stata una bruciante sconfitta. Si sono fatti circondare a Mariupol’, non sono riusciti a tenere la città, si sono chiusi da soli in un buco sotto terra, ma ne escono con la gloria degli indomiti combattenti. Domani, quando la guerra sarà finita, la loro fama sarà maggiore di prima e, c’è da scommetterlo, anche la loro influenza.

È il destino grottesco di molte guerre moderne, quello di essere (almeno nominalmente) combattute contro questo o quel nazionalismo e di finire invece per esaltarlo. Ma è anche una preoccupazione che non dovremo trascurare nel momento in cui questa guerra folle si placherà. Vincitrice o sconfitta la Russia sarà più nazionalista di prima,e difficilmente sfuggiranno ad analoga sorte anche i Paesi come l’Ucraina, la Polonia, i Baltici che ora sono in prima linea nel contrastarla. Questa guerra cambia il mondo e, per prima cosa, ci chiederà di reinventare l’Europa.

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