Putin non può dire solo «no» e Trump vuole passi avanti

MONDO. L’imprevedibilità di Donald Trump alla prova delle tradizionali relazioni muscolari russo-americane.

Per tre ore l’inviato Usa, Steve Witkoff, ha discusso al Cremlino con Vladimir Putin una via d’uscita alla tragedia ucraina. Il tycoon, felice per i «segnali» positivi arrivati da Mosca, intende incontrare già la prossima settimana il collega russo, alla presenza di Volodymyr Zelensky, per accelerare il processo di pace. Ma intanto, non fidandosi, ha elevato dazi del 25% all’India, il Paese che maggiormente compra petrolio russo - 2 milioni di barili al giorno.

Giro di vite sulle sanzioni

America ed Europa hanno deciso di imporre un forte giro di vite alla garrota che sono le sanzioni contro la Russia. In presenza dell’ostinazione del Cremlino a continuare la sua «Operazione speciale» in Ucraina, serve un’azione di forza. Del resto l’economia russa, pesantemente dipendente dalla vendita di idrocarburi, è già in difficoltà e presto sarà in recessione. Adesso le si vogliono togliere i capitali utilizzati per finanziare la macchina bellica.

La Casa Bianca ha programmato «dazi secondari», ossia non diretti. Si colpiscono i partner dei russi. L’India è il bersaglio più facile; la Cina quello più difficile. Alle loro merci, in vendita negli Stati Uniti, verranno imposte – Trump ha minacciato - aggravi fino al 100% del loro valore in caso di mancato accordo. La botta è spaventosa. Da qui l’opinione imperante è che, alla fine, il tycoon farà un passo indietro. Altrimenti si rischierebbe una grave crisi economica internazionale.

Putin non può dire solo di no

Dopo aver ripetuto sabato scorso come un registratore le stesse tesi del novembre 2021, Putin – che per mesi ha compiuto solo mezzi passi verso una tregua – non è più nella condizione di dire solo «no» allo spazientito Trump. Il presidente russo è da un lato convinto che in 2-3 mesi spezzerà militarmente il fronte in Donbass, ma dall’altro sa che non può perdere l’unica chance a disposizione per uscire dal pantano ucraino, in cui si è cacciato nel febbraio 2022. Donald Trump, invece, necessita di passi avanti concreti per non perderci la faccia dopo che in campagna elettorale aveva promesso che «in 24 ore» avrebbe fatto «finire la guerra».

Uno scenario difficile

Lo scenario, in cui è avvenuto l’incontro Witkoff – Putin, non è stato dei più rilassati. Trump ha risposto per le rime all’ex presidente Medvedev, affermando di aver dato ordine a due sottomarini di avvicinarsi alla Russia. Mosca ha cancellato la moratoria autoimpostasi alla cancellazione del trattato del 1987 sui missili a medio e corto raggio da cui Washington è già uscita nel 2018.

Qualsiasi esperto militare sa che gli equilibri geostrategici globali sono poggiati sui 10-12 sottomarini atomici per parte - americani e russi -, armati con missili a testate nucleari con un raggio d’azione da oltre 10mila chilometri, perennemente in missione negli abissi degli oceani. L’Inf del 1987 è da anni entrato nella storia, poiché sia Washington che Mosca temono invero il riarmo cinese: Pechino agisce fuori da qualsiasi accordo internazionale. Insomma, si sono osservate mosse scontate a beneficio solo delle «tigri» dei social media o di opinionisti da bar dello sport; mosse che, comunque, avvelenano l’atmosfera.

Ma attenzione. Uno dei veri spauracchi è che americani e russi si mettano d’accordo a spese di Kiev o dell’Europa, la quale, però, ha la «golden share» della crisi ucraina, poiché nel 2022 Putin si è dimenticato nei forzieri Ue quasi 300 miliardi di dollari delle sue riserve valutarie. La bistrattata e decadente Ue! Che Trump e Putin non la diano per superata! Potrebbero rimanere delusi.

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