L'Editoriale
Giovedì 27 Novembre 2025
Quando vincere porta problemi
ITALIA. Le conseguenze politiche del voto di domenica e lunedì per i governatori di Veneto, Puglia e Campania sono più pesanti di quanto si possa pensare e stanno provocando conseguenze non piccole in entrambi gli schieramenti in lizza.
Il primo elemento è che il partito di Giorgia Meloni non ha avuto il risultato sperato. Il primo obiettivo era mettere un uomo di FdI alla guida di una Regione importante come la Campania; la seconda era di imporre un peso elettorale preponderante in Veneto per riequilibrare il governatore ancora una volta scelto dalla Lega. In entrambi i casi le cose sono andate male. Edmondo Cirielli è stato di gran lunga battuto in Campania da Roberto Fico grazie ai voti di Vincenzo De Luca, potente governatore uscente mai rassegnato a perdere il proprio potere, e – per quello che contano – grazie ai consensi del Movimento Cinque Stelle. Inoltre in Veneto, trascinata da Luca Zaia la Lega ha addirittura doppiato Fratelli d’Italia confermandosi il partito più votato della Regione.
Meloni preme per discutere subito il premierato e pensa già a riformare la legge elettorale «per garantire la stabilità della prossima legislatura»
Con queste percentuali il centrodestra cederebbe al «campo largo» un consistente numero di seggi nei collegi
Se uniamo a questi risultati anche quello, perdente e modesto, del candidato del centrodestra in Puglia dove ha stravinto Decaro, possiamo arrivare ad una previsione piuttosto inquietante per le politiche del 2027: con queste percentuali il centrodestra cederebbe al «campo largo» un consistente numero di seggi nei collegi. Chi si è messo a fare il conto ne ha dedotto che così stando le cose il centrodestra non avrebbe una maggioranza sicura al Senato (ma nemmeno il centrosinistra: sarebbe stallo). Dunque il primo risultato di queste regionali: Meloni preme per discutere subito il premierato e pensa già a riformare la legge elettorale «per garantire la stabilità della prossima legislatura».
Inoltre Meloni deve mettere uno stop ai suoi alleati che avanzano già richieste in forza dei loro voti: Salvini – che si fa vanto dei voti in Veneto in realtà dovuti a Zaia – blocca la legge sugli stupri, e anche Tajani, che ha una Forza Italia che cresce ovunque anche se di poco, si oppone a mettere il nome (Meloni) del candidato premier sul simbolo. Questo non vuol dire che, per esempio, Salvini non abbia i problemi di casa sua: le prime dichiarazioni di Zaia («Ho preso 200.000 preferenze e passa, ecco cosa volevo dire quando ho previsto che sarei diventato un problema») non promettono niente di buono per il clima dentro la Lega.
Elly Schlein ha portato a casa il successo in Puglia e Campania grazie ai «cacicchi» del Sud che lei avrebbe voluto spazzare via, mentre i «suoi» inesperti candidati arrancano e spesso non riescono a farsi eleggere
Come si vede, il contesto è complicato. Se andiamo a vedere le conseguenze sull’altro campo, quello del cosiddetto «campo largo», ci accorgeremo che Elly Schlein ha portato a casa il successo in Puglia e Campania grazie ai «cacicchi» del Sud che lei avrebbe voluto spazzare via, mentre i «suoi» inesperti candidati arrancano e spesso non riescono a farsi eleggere. In ogni caso anche lei, come Salvini, si gloria dei voti ricevuti grazie a De Luca e a Decaro, e così può insistere sull’alleanza con il M5S che lei «testardamente» persegue. Del resto si sa che un centrosinistra unito combatte ad armi pari col centrodestra e può vincere; un centrosinistra diviso come nel 2022 non può che essere sconfitto. Dunque lei andrà avanti sulla sua linea ma stando attenta a due cose.
La prima è che il M5S, ridotto nei territori a percentuali molto basse, potrebbe essere tentato di seguire la premier Meloni sulla strada della riforma elettorale in senso proporzionale. La seconda è che nel Partito Democratico le correnti si stanno riorganizzando e non hanno alcuna intenzione di lasciare che Elly Schlein governi il partito con i suoi soli fedelissimi. In fondo, nelle Regioni, a far vincere il PD con i loro voti sono stati Decaro, De Luca, Giani, Proietti. Tutti riformisti.
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