Quell’utile scialuppa
dell’ultimo Berlusconi

Tutto lascia pensare che Silvio Berlusconi, il combattente indomabile ma ferito, ricoverato al San Raffaele, riuscirà a superare anche questa prova: questo è certamente l’augurio. Non sarebbe la prima riscossa per un vecchio leone dalle mille vite, capace di rialzarsi quando meno te l’aspetti. Pazienza, poi, se l’imprevisto sia capitato all’indomani della sentenza della Corte di giustizia europea che ha dato ragione a Vivendi nella causa contro Mediaset e AgCom. La solidarietà è unanime, compresi grillini e sinistra Leu. Conta il dato umano, benvenuto e necessario. Pesa anche l’aspetto politico nei confronti di un leader che fino a qualche anno fa era pur sempre dipinto come il Caimano, l’«uomo nero», l’incubatore del populismo. Con lui mai neppure un caffè.

Non sfugge l’omaggio di Di Maio con la speranza di rivederlo combattere «con la forza che lo ha sempre contraddistinto». Parole non scontate, vista la provenienza, e c’è chi vi ha trovato un riconoscimento politico. La parabola del Cav, fra condizione fisica e declino politico, suggerisce qualche riflessione non convenzionale. L’impressione, cioè, che quel che residua del berlusconismo trionfante sia comunque indispensabile alla stabilità del sistema e, per certi aspetti, un argine alla deriva populista.

Sembra emergere, più sottesa che dichiarata e detta sotto voce, un’inattesa centralità di Berlusconi al di là dei numeri della sua creatura, oggi una signora di gracile costituzione. Una utilità nel campo del realismo, quella del Cav, che interviene in un passaggio delicato non solo per governo e maggioranza, ma per il Sistema Italia. Dopo la rovinosa fine del ciclo berlusconiano di governo, il leader di Forza Italia era entrato in una fase di stagnazione confermata dal declino azzurro: lo specchio riflesso della caduta del ceto medio. Lui stesso era parso laterale, anzi distante, in tutt’altre faccende affaccendato, relegato a piede pagina. Più volte è stato dato per spacciato politicamente. In un centrodestra che sembrava fatto a misura del signore di Arcore, il più lesto a rovinare l’incantesimo è stato Salvini il cui strappo ha certificato, nella migliore delle ipotesi, l’inizio del post berlusconismo.

Il centrodestra è mutato in destra-centro anche per i limiti del partito-azienda a sovranità assoluta e personalizzato all’estremo, che ha visto i quadri dirigenti andarsene sbattendo la porta. Questo è il palcoscenico allestito e visibile, in cui gli attori in competizione sono Salvini e la Meloni, non altri. Nel frattempo, tuttavia, è cambiato anche Berlusconi e si direbbe che invecchiando ha acquistato saggezza (notiamo, en passant, che cita Platone).

È ritornato in Europa dalla porta giusta, è così il referente dei Popolari della Merkel, ha gestito la fase Covid con buon senso, ha collocato Forza Italia sul versante europeista, fa la dovuta opposizione ma non le barricate e, smarcandosi, propende pure per il No al referendum. In definitiva: l’uomo è sopravvissuto a tanti rovesci e dopo averne viste di tutti i colori (mettendoci del suo), s’è costruito un profilo politicamente corretto, in qualche modo distinto dal viale del tramonto azzurro. Pur con un consenso ai minimi termini, Berlusconi conta ancora e ha spazi di manovra autonomi, specie se la prospettiva è la legge elettorale proporzionale.

E perché in ogni caso – come sanno Renzi e Calenda – resta a guardia dell’Italia moderata, il granaio elettorale che ora non se la passa bene ma che non perisce mai. Nell’Italia dei paradossi, non sarebbe surreale scoprire che la scialuppa di salvataggio dell’ultimo Berlusconi è indispensabile a tutti: all’acerrimo alleato Salvini e ai carissimi nemici di sinistra.

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