Quirinale
e governo
due partite
intrecciate

Il governo di quasi unità nazionale è in affanno, si veda la gestione di Omicron, anche se al tecnico Draghi non manca la mediazione politica, come s’è notato in queste settimane. Il primo a saperlo è Salvini, che deve decidere se abbandonare definitivamente la rotta populista o accettare il draghismo. Un esecutivo dal fiato corto: la testa è al Quirinale, il cuore di bottega delle forze politiche ai tatticismi. Il sistema politico, anzi il sistema Paese, è sul crinale: la vasta maggioranza di governo può sfruttare l’elezione presidenziale per consolidare o archiviare i risultati positivi ottenuti negli ultimi 10 mesi su pandemia e ricostruzione economica.

Nel primo caso usciremmo rafforzati, nel secondo torneremmo agli anni bui. Il punto di caduta sta nel confezionare un «pacchetto completo»: un nome di garanzia al Quirinale, un premier che assicuri la continuità. Primo problema: non c’è una maggioranza presidenziale netta in grado di far decollare una candidatura condivisa. Secondo: Berlusconi, da parte sua, intende procedere anche per una questione personale. Vuole farsi contare e pesare: capire quanto vale in un centrodestra che non è più suo e nell’area contigua. L’incognita dell’anziano leader è un’avventura estrema e un ostacolo per una sintesi unitaria. Il pericolo è: bruciamo Draghi al Quirinale e pure a Palazzo Chigi, proprio nel momento in cui non potremo più contare su un uomo di qualità qual è Mattarella?

L’ipotesi dell’attuale capo di governo alla presidenza della Repubblica resta in cima all’agenda, ma significa siglare un’intesa che consenta all’esecutivo di andare avanti: da qui al 2023, cioè a fine legislatura. In questa prospettiva il traghettatore non potrebbe essere un tecnico: il suo sarebbe semplicemente un governo elettorale per portarci al voto all’incirca a maggio. Nessuno però, con l’eccezione di Fratelli d’Italia premiata dai sondaggi, vuole andare alle elezioni anticipate, a partire dall’ex armata grillina, oggi allo sbando, terrorizzata dal boomerang della riduzione dei parlamentari dalla prossima legislatura: oltre ai danni dall’aver inseguito un simile infortunio, anche le beffe. Un premier politico, ma con quale maggioranza? Già oggi non è chiarissimo se Salvini intenda sfilarsi o meno dall’esecutivo. E poi: accetterà la sfida del governo o s’infilerà nella competizione all’opposizione con Giorgia Meloni? Per il momento sappiamo che Salvini resta il dominus della Lega e su questo non c’erano dubbi: lo stesso Giorgetti è rientrato nei territori salviniani.

Altra ipotesi: Draghi non va al Colle. In questo caso tuttavia la soluzione per il Quirinale dovrebbe essere in sintonia con la permanenza a Palazzo Chigi dell’attuale premier: è stato lo stesso Draghi a dire che due maggioranze diverse farebbero saltare il banco. Senza Mattarella, inoltre, sarebbe molto più difficile anche per l’ex banchiere centrale governare una qualsivoglia compagine. Si rischia di arrivare al 24 gennaio, alle prime votazioni, in ordine sparso, senza l’uomo che fa squadra (l’ultimo della serie è stato Renzi con Mattarella) e con una maggioranza di governo che si sente già affrancata dai vincoli che l’hanno tenuta insieme.

Mettiamo nel conto le scorribande degli immancabili franchi tiratori, il fatto che un po’ tutti i giocatori hanno le carte coperte e che ci sono aree insondabili come il Gruppo misto, un centinaio e passa di parlamentari ingovernabili. Il rischio è che, se non passa Draghi, il prescelto sia deciso più dai veti che dai voti. Come diceva il ministro Franceschini, esperto in navigazione parlamentare: «L’eletto è un signore che lo apprende da una telefonata di qualcun altro la sera prima della sua elezione».

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