Referendum, le vere questioni sociali

ITALIA. L’occasione referendaria dovrebbe servire per aprire un dibattito vero sui problemi del lavoro, dei salari bassi, della redistribuzione dei redditi, ma non sta andando affatto così.

La si presenta come una rivincita sul Jobs act, ma questa legge è già stata corretta da una sentenza della Corte Costituzionale e da un altro intervento del Conte 1. Sui suoi benefici lasciamo la parola alla segretaria della Cisl, Daniela Fumarola: «Ha avuto lacune applicative, ma ha contrastato le dimissioni in bianco, colpito le false partite Iva, esteso gli ammortizzatori sociali, incentivato il tempo indeterminato e riformato le politiche attive», sulle quali ultime la sinistra (che lo ha approvato 10 anni fa) ha lungamente agito fin dai tempi del governo Prodi e con le battaglie culturali di Pietro Ichino. Restano allora soprattutto le ragioni simboliche di carattere politico, ma possono appassionare solo i capi partito e sindacali, interessati a sistemare i rapporti interni del Pd, indicando chi compilerà le prossime liste elettorali, o a chiarire se a sinistra comanda Maurizio Landini o il neofita Giuseppe Conte e se tra i sindacati ha torto la Cisl e ha ragione il fervore della Cgil o l’imbarazzo della Uil.

Le vere questioni sociali, nel nostro Paese, sono insomma un po’ più grandi e complesse del «sì-no» nelle urne su una legge che almeno nei numeri - di cui paradossalmente si vanta la maggioranza attuale che la avversò - ha migliorato l’occupazione (oltre un milione di posti) e ha ridotto quella precaria

Le vere questioni sociali, nel nostro Paese, sono insomma un po’ più grandi e complesse del «sì-no» nelle urne su una legge che almeno nei numeri - di cui paradossalmente si vanta la maggioranza attuale che la avversò - ha migliorato l’occupazione (oltre un milione di posti) e ha ridotto quella precaria. Per il rispetto che va riconosciuto a chi vorrà andare a votare nel merito, bisognerebbe stare ai fatti, libero poi ciascuno di fare le sue considerazioni politiche anche critiche, se non altro perché quei numeri in miglioramento restano peggiori di quelli degli altri Paesi europei. Ma l’Istat parla freddamente chiaro. Il Jobs act ha contribuito a porre un freno ad una deriva avara per l’occupazione e oggi abolendone parti sensibili si farebbero passi indietro persino autolesionistici, ad esempio riducendo gli indennizzi monetari per i licenziamenti ingiusti. La precarietà dei contratti a termine non è aumentata, come dicono Landini e anche Elly Schlein, nel silenzio di metà del suo partito. È vero il contrario e cioè che la maggiore stabilità inserita dalle leggi (a cominciare dalla fine del totem dell’articolo 18) ha aumentato l’occupazione totale e che il rapporto tra i contratti a tempo indeterminato e quelli a termine si è invertito. Solo nell’ultimo trimestre 2024 si parla di circa mezzo milione di occupati permanenti in più e di circa 300 mila contratti a termine in meno.

C’è insomma da chiedersi perché i promotori di questo referendum tanto si lamentino di una scarsa informazione che serve se mai a celare molti inganni

L’obiezione di Landini è che i dati nascondono rapporti part time, ma nel 2024 sono il -7,6% rispetto all’anno prima, che a sua volta è nettamente sotto il 2019. In Europa il ricorso al part-time è del 20%, da noi del 16,7. Scatta allora l’altra obiezione: c’è anche il part-time involontario, per cui aumentano gli occupati ma diminuiscono le ore lavorate. L’Istat non lo certifica, però, e fatto 100 l’indice di ore lavorate nel 2021, parla di un indice 2024 del 117,2. Secondo i dati Eurostat, il part time involontario sta sotto il 10% in Italia, scendendo dal 12,1% di cinque anni prima. C’è insomma da chiedersi perché i promotori di questo referendum tanto si lamentino di una scarsa informazione che serve se mai a celare molti inganni. Altro ragionamento è ovviamente quello politico e non vogliamo certo trascurare né le ragioni né le possibili conseguenze del probabile mancato quorum, una nuova ferita democratica, con l’effetto collaterale di travolgere un altro quesito sottoposto alle urne, quello sulla cittadinanza, di rilevante qualità sociale.

Peccato, insomma, perché ci sono gravi questioni epocali che passano in secondo piano e vengono quanto meno rimandate. Si pensi solo alla fiscalità del ceto medio e alla questione salariale (quella del salario medio, perché su quello minimo ci sono i dubbi di qualsiasi imposizione non di mercato e non contrattuale). Certo sono cose complesse, che non si risolvono dentro i limiti oggettivi dello strumento binario e pongono problemi difficili ad una classe politica che arretra spaventata se le parli di produttività, di politica industriale, di globalizzazione.

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