Regime e sanzioni, aiuti in trappola

Mondo. Il numero delle vittime dell’immane tragedia che ha colpito Turchia e Siria sale di giorno in giorno. Le dimensioni della catastrofe generata dal terremoto assumono un tratto inquietante: tra le migliaia di sopravvissuti che si trovano sotto le macerie degli edifici crollati, molti non potranno essere salvati perché i soccorritori non riescono a raggiungere le zone colpite, impediti dalle vie di comunicazione distrutte. Si scava disperatamente a mani nude.

Ma a complicare la strada degli aiuti sono anche fattori umani. In un appello pubblico, l’organizzazione non governativa «Terra Sancta» che opera in Medio Oriente, chiede «l’immediato stop dell’embargo che sta mettendo in ginocchio la popolazione siriana. Oltre al costo della vita che è inevitabilmente diventato insostenibile, con l’aggravarsi delle condizioni aiutare la popolazione di Aleppo e dintorni colpita violentemente dal sisma è diventato ancora più difficile». Il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, dalle aree terremotate si è unito all’appello perché «questa prova così tragica sarà un test, una prova di umanità sia per la Siria che per la comunità internazionale».

Ma l’Unione europea sostiene che l’embargo non avrà impatto sugli aiuti. Il commissario Ue per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, ha ricordato come «le sanzioni sono state imposte dal 2011 in risposta alla violenta repressione del regime siriano contro la sua stessa popolazione civile, incluso l’uso di armi chimiche. Finanziamo e sostiamo da anni organizzazioni umanitarie. La situazione è desolante da oltre un decennio e il sisma non ha fatto altro che aggravare questa già drammatica condizione. Stiamo lavorando per incrementare il nostro sostegno finanziario per le aree colpite in Siria attraverso i programmi di assistenza». Le sanzioni però vengono aggirate in parte dai regimi destinatari attraverso Stati non sotto embargo,a proprio vantaggio e con ricadute negative sulla popolazione. Tant’è che proprio l’Ue ha deciso di adottare altri meccanismi di controllo del nuovo embargo al quale è stata sottoposta la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.

Ma nella Siria dominata dal dittatore Bashar al-Assad la situazione dei sopravvissuti al sisma è resa più difficile da altri due fattori. Il Paese in questo periodo è sottoposto a temperature che vanno sotto lo zero e proprio nelle ore in cui la terra ha tremato è arrivata un ’abbondante nevicata. Così chi è stato risparmiato dalle scosse violentissime e chi è ancora vivo tra le macerie deve affrontare un’altra prova che mette a rischio la vita: quella del gelo. Inoltre il frammentato territorio siriano è spartito in zone di controllo tra attori stranieri rivali (Stati Uniti e Turchia contro il regime di Damasco; Russia e Iran invece sue alleate), forze armate e milizie locali. Il sisma ha colpito il Nord-Ovest, radendo al suolo 250 villaggi, decine di campi profughi e danneggiando pesantemente altre 400 località, incluse le popolose città di Aleppo, Hama, Latakia e Idlib. La regione è abitata da quasi cinque milioni di persone, più della metà sfollate da altre aree. Un’enclave isolata e in guerra con il governo di Damasco, che in tempi «normali» rifiuta di concedere l’autorizzazione a entrare salvo eccezioni concesse ad organizzazioni non governative che portano cibo e medicinali: il loro ruolo è vitale perché l’85% degli abitanti dell’area di fatto tira avanti grazie a questi aiuti.

Bab al Hawa è invece l’unico valico frontaliero turco-siriano attraverso il quale, prima del sisma e in virtù di un accordo da rinnovare ogni sei mesi in sede Onu con il placet della Russia, fino a tre giorni fa entravano i convogli umanitari delle Nazioni Unite. Ora però è chiuso perché danneggiato dal terremoto e le autorità di Ankara al momento non sembrano interessate ad occuparsi della riapertura delle frontiere con la Siria: sono passate solo 120 salme di profughi morti in territorio turco. Il regime di Assad vuole che tutti gli aiuti internazionali ai terremotati passino per Damasco, ma in questi anni lo stesso regime ha creato un sistema per «scremare» una percentuale dei soccorsi materiali e trattenerla. Un’inchiesta dell’Onu ha dimostrato come molte imprese che ricevevano appalti per distribuire e trasportare aiuti fossero controllate dagli uomini di Assad. Inoltre si teme che Damasco, come già in passato, usi il dominio sulla distribuzione come un’arma politica contro ogni singola città ribelle: se obbedisci ti portiamo cibo e medicinali, altrimenti nulla. Così quasi cinque milioni di persone attendono che il senso di umanità prevalga su calcoli, interessi personali e settarismo. Un’immensa sventura.

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