Ricercatori, la Francia si muove per prima

MONDO. Emmanuel Macron sceglie come sede dell’annuncio la Sorbona, una delle più antiche e prestigiose università del mondo, e, tra un colpo di cipria accademica e un inchino alla grandeur francese, proclama il nuovo Eldorado della scienza: l’Europa.

Un’Europa intellettuale che deve parlare francese, pensare tedesco e bisbigliare sotto tono quando si chiama Italia. Il progetto, dal nome americaneggiante «Choose Europe for Science», punta a stendere un tappeto rosso da mezzo miliardo di euro sotto i piedi tremanti di quei ricercatori che vogliono fuggire dal clima plumbeo degli Stati Uniti di Donald Trump, dove la scienza e la tecnologia non è più padrona nemmeno nei suoi templi. Ma proviamo a ricapitolare. Chi c’era all’annuncio? Francia in pompa magna, Germania a braccetto, Spagna e Olanda al seguito. L’Italia? Presente sì, ma in punta di piedi e per dovere d’etichetta, rappresentata non da un ministro ma dall’ambasciatrice Emanuela D’Alessandro, che peraltro non vedeva l’ora di alzare i tacchi dall’evento con diplomatica nonchalanche.

Il protagonismo francese

Già alla vigilia del vertice, le nostre diplomazie si erano fatte sentire col solito bisbiglio di malumore: troppo protagonismo francese, troppo poco gioco di squadra. «Per noi il vero luogo del confronto resta il Consiglio Competitività del 23 maggio», ha puntualizzato la rappresentanza italiana. Traduzione: queste sfilate ci stanno strette, e pure un po’ sullo stomaco. Dietro all’appello in grande stile europeista, si nasconde una mossa politica ben studiata. Da quando il presidente americano Trump è tornato a cavalcare l’elefante nella cristalleria della Casa Bianca, le università americane vivono giorni da purgatorio: tagli ai fondi, richieste grottesche di revisioni ideologiche, perfino la sospensione delle sovvenzioni alla prestigiosissima Harvard. E se Macron tuona contro «l’oscurantismo scientifico», è perché sa bene che nulla come un’America che spegne la luce delle sue università fa brillare più forte il lampione dell’accademia parigina.

Il linguaggio delle percentuali

Von der Leyen, dal canto suo, sfodera il linguaggio delle percentuali: «Vogliamo il 3% del Pil in ricerca entro il 2030». Un’utopia? Forse. Ma intanto si guadagna l’applauso facile. Poi aggiunge: «Che gigantesco errore mettere in discussione la scienza». Il riferimento a Trump è più che trasparente. È un dito puntato. L’amministrazione Trump ha annunciato di aver sospeso tutte le future sovvenzioni federali ad Harvard, la più antica università del Paese oltre che una delle più prestigiose a livello planetario. Ad aprile aveva già sospeso i fondi che erano stati stanziati per l’università, per un totale di 2,2 miliardi di dollari, perché l’ateneo si era opposto alle sue richieste riguardo a modifiche su criteri, programmi didattici, politiche di ammissione e assunzione, intimando di condividere tutti i dati relativi a questi processi con il governo federale, comprese le informazioni sui candidati respinti. L’amministrazione chiedeva poi di rivedere i programmi accademici di varie facoltà attraverso l’assunzione di consulenti esterni approvati dal governo e di denunciare immediatamente alle autorità federali gli studenti stranieri che commettono violazioni.

La libertà di espressione

Macron ha preso la palla al balzo. Sale in cattedra da maître à penser nell’ateneo del Quartiere latino, inneggia alla liberté d’expression. Poi cita persino la «grassa e dotta» Bologna, prima università di tutti i tempi. Un omaggio che suona come una carezza con il guanto, mentre con l’altra mano si serve l’antipasto indigesto. Perché mentre il presidente francese magnifica l’Europa come rifugio dei cervelli, lancia anche «Choose France for Science», una piattaforma per cofinanziare i migliori progetti di ricerca fino al 50%. Non un’Europa, insomma, ma una Francia allargata. I sindacati accademici francesi, però, non ci stanno. Parlano di «indecenza», visto che Parigi taglia i fondi alla ricerca nazionale e intanto apre la borsa per gli americani. È come se, mentre il tetto crolla, si offrisse ospitalità ai passanti.

E l’Italia? Rimane sulla riva del fiume, al solito sospesa fra Trump e l’Europa. Non che manchino i cervelli, da noi. Ma manca spesso la volontà di tenerli. E allora in fondo ci si ritira con discrezione, come al ballo dove si sa già che non ci faranno danzare. In Italia infatti quando si tratta di ricercatori siamo specializzati in export e non in import. La scienza, dice Macron, è «un tesoro dell’umanità». Ma prima ancora è un campo di battaglia. E chi pensa che si giochi solo con le provette, non ha capito che a ogni Nobel in fuga corrisponde una sconfitta diplomatica. Di chi, invece di attirare cervelli, si limita a contare quelli che partono.

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