Russia e Cina, il rischio di perdere Teheran

MONDO. In Iran il regime degli ayatollah barcolla paurosamente sotto i colpi di Israele. Fonti diL’esplosione sull’edificio della Radiotelevisione della Repubblica islamica dell’Iran a Teheran.verse parlano di possibile prossima fuga all’estero della Guida suprema, Alì Khamenei, e dei suoi gerarchi.

Se dopo 46 anni dovesse veramente concludersi l’esperienza della Repubblica islamica, quali sarebbero i nuovi scenari regionali? E quali quelli geopolitici di più ampio respiro? Certamente, il filo occidentale Israele diventerebbe nell’area la potenza di riferimento assieme alla Turchia, all’Arabia Saudita e ai Paesi del Golfo. Indirettamente trionferebbe la linea di normalizzazione nelle relazioni tra gli Stati della regione, definita nei cosiddetti «Accordi di Abramo» del 2020. Il «pericolo sciita», che incuteva timore persino alle cancellerie europee e d’oltreoceano soprattutto dopo gli attacchi degli Houthi alle navi all’ingresso del Mar Rosso, ne uscirebbe ridimensionato.

I giochi di potere

Il colpo più duro, però, verrebbe incassato da Russia e Cina che finirebbero fuori dai grandi Giochi, anche se l’isolazionista Donald Trump, alla fine, dovesse decidere di non intervenire militarmente per assestare il ko definitivo agli ayatollah e al loro «programma nucleare». Ecco la ragione per cui nelle «sale dei bottoni» russa e cinese tremano i polsi. Mosca perderebbe una «partnership» speciale con Teheran, che le ha garantito, ad esempio, - per due anni a partire dal 2022 - una fondamentale fornitura di droni esplosivi, ampiamente utilizzati nel conflitto in Ucraina.

La preoccupazione della Cina

Pechino non avrebbe più a propria disposizione approvvigionamenti di petrolio a prezzo scontato. L’ex «impero celeste» acquista oggi circa il 90% della produzione di «oro nero» degli ayatollah. Sia per i russi che per i cinesi il passo falso sarebbe estremamente grave. Gravissimo, senza dubbio, per Vladimir Putin che ha appena perso, nello scorso dicembre, l’alleato storico regionale più importante, ossia la Siria degli Assad, sostenuta da lui clamorosamente - nel settembre 2015 - con l’invio a sorpresa di aerei, navi e truppe. Dopo quasi sei decenni, quindi, il Cremlino non avrebbe più influenza diretta in Medio Oriente e meno varrebbe la «reconquista» della Crimea, ordinata da Putin nel 2014, una delle vere cause della tragedia ucraina. Dalla «penisola contesa» vi è strumentazione in grado di controllare una larga fetta dello spazio aereo mediorientale e, se necessario, Mosca è potenzialmente in grado di colpire chiunque in un largo raggio d’azione.

Il ruolo della Russia

A livello internazionale Putin non potrebbe più contare su un regime, quello degli ayatollah, da sempre anti-occidentale. Ecco perché la diplomazia federale sta tentando di salvare il salvabile dopo che anche la presenza di Mosca in Caucaso è stata compromessa dalla vittoria in Nagorno-Karabakh, nel novembre 2023, dei turcofoni azeri sugli armeni, che ora delusi guardano più all’Occidente che al Cremlino.

In breve, come un castello di sabbia sta franando l’architettura geopolitica nel «vicino estero» di Putin, concentrato com’è sullo spazio ex sovietico. Il Cremlino si affida così disperatamente ora a Trump, sperando in Iran in un qualche ruolo da mediatore, ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non ne vuole sapere, poiché adesso troppo grande è l’occasione di far saltare quella diga che, per decenni, si è opposta alla composizione della questione mediorientale. Il 79enne Trump continua, però, a ragionare - come Putin - con concezioni riferibili alle potenze del Ventesimo secolo. Il problema è che i tempi sono cambiati e oggi nuovi attori si sono affacciati sul palcoscenico internazionale. Bisogna prenderne atto.

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