Se il diritto tra nazioni non ha più consenso

MONDO. L’invasione su larga scala dell’Ucraina e l’aggressione di un intero popolo per cancellarne identità e cultura, secondo un’ideologia che ha radici lontane nella storia dell’imperialismo russo, sono avvenute in palese violazione del diritto internazionale e della Carta dell’Onu.

Nel dibattito pubblico a questa evidenza c’è chi risponde ricordando che anche gli Usa e la Nato hanno infranto quel diritto con interventi militari in altri luoghi: replica ineccepibile ma con due lacune. La prima: il conflitto in corso in Europa mira ad annettere alla Russia uno Stato sovrano e indipendente (o sue parti consistenti), un processo iniziato nel 2014 con la presa della Crimea. La seconda lacuna riguarda l’approccio culturale al tema: le negazioni dei diritti si sommano, non si annullano fra loro. Il rischio è di intraprendere una china pericolosa: l’accettazione di gravissime violazioni perché «così fan tutti» in una sorta di rassegnazione a un mondo nel quale le norme per la convivenza pacifica fra Stati non hanno più valore anche per chi le ha sottoscritte.

In consessi pubblici, dai talk show ai convegni ai social, chi richiama il rispetto del diritto internazionale nella sua essenza, talvolta viene irriso come un povero illuso, nel prevalere di appartenenze ideologiche e politiche che invocano quel diritto a seconda del legame con le parti in causa. Ma il corpus di leggi che disciplina i rapporti fra Paesi e considera diversi aspetti (commerciali, sociali ed economici) o ha un valore assoluto in termini di principio per un mondo il più possibile in pace, o si spegne. La nascita del diritto internazionale è legata alla formazione degli Stati sovrani e indipendenti, che, in seguito alla pace di Westfalia (1648), diedero vita al primo nucleo dell’odierna comunità globale. Il codice fu rilanciato dopo la Seconda guerra mondiale affidandone la vigilanza in particolare alle Nazioni Unite, oggi molto criticate per la loro irrilevanza. Ma l’Onu, come l’Unione europea e gli altri organismi internazionali, è ciò che gli Stati membri le permettono di essere: non funziona perché prevalgono interessi particolari senza più una visione condivisa e ideale delle condizioni minime per una buona convivenza. Un mondo in preda all’anarchia, senza più un ordine comune, come può essere ridisegnato se non rilanciando proprio il diritto internazionale e gli organismi che lo devono tutelare? Quel sistema di norme globale ha un fine chiaro già dal suo sinonimo: «ius gentium», diritto delle genti. Se proprio i popoli sono rassegnati all’oblio delle leggi, chi altro può incalzare la politica perché si torni al loro rispetto? L’assuefazione ai mali del mondo è una caratteristica umana a doppio taglio. Ci difende dal fardello del troppo dolore che ci circonda ma genera rassegnazione allo status quo e ci allontana da una spinta necessaria al cambiamento, un impegno che vede invece quotidianamente coinvolte associazioni e organizzazioni non governative che tentano di modificare la realtà curandone le ferite.

Peraltro nei giorni scorsi all’Onu è iniziata una lunga sessione, che durerà un anno, allo scopo di definire una serie di cambiamenti per un mondo più giusto e in pace: le conclusioni verranno tratte al Summit mondiale sul Patto per il futuro, nel settembre 2024. Le Nazioni Unite vanno riformate a partire dal loro organismo più importante, il Consiglio di sicurezza del quale fanno parte le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, disegnato su un mondo mutato. Ai suoi membri va tolto il diritto di veto utilizzato per affermare interessi di parte e non generali. Anche l’Unione europea va cambiata, annullando il voto all’unanimità che equivale a un diritto di veto e realizzando anche un sistema di difesa comune efficace. Utopie, illusioni? Chi ideò e realizzò queste organizzazioni sovranazionali non era certo mosso dalla rassegnazione. L’alternativa è consegnarci al cinismo e alla tragica attualità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA