Se nel caos geopolitico Usa e Cina cooperano

L’ANALISI. La notizia in sé conta, e si qualifica, già nell’incontro avvenuto fra Biden e Xi Jinping a San Francisco di ieri sera, a un anno esatto dal loro ultimo faccia a faccia.

Ma anche per i contenuti: 4 ore a tu per tu e una finestra aperta sulla possibilità di cooperare. Piccoli passi, o forse qualcosa di più, mentre un pezzo di mondo brucia nelle fiamme della guerra. Si partiva dai minimi negoziali e ora si tratta di ristabilire un canale di comunicazione per governare il caos geopolitico e scongiurare altri conflitti, tipo Taiwan. Dopo Ucraina e Israele-Palestina. L’età dell’incertezza e della frammentazione fra blocchi di nazioni contrapposti, in cui sicurezza ed economia si condizionano a vicenda. Con una differenza: la sicurezza precede i commerci internazionali e chiude la fase ottimistica della globalizzazione. La posta in gioco è enorme, perché le difese delle società nazionali si tengono nel rapporto con le dinamiche internazionali.

Le aspettative del vertice erano modeste proprio per non creare attese fuori luogo attorno a una trama necessaria per rammendare rapporti deteriorati da tempo, da Trump a Biden, e inseguire un disgelo nell’ipotesi di una Cina meno «rivale sistemico» e più «competitore responsabile». L’orizzonte dovrebbe essere depotenziare la corsa alla replica della Guerra fredda per restituirla al confronto fra potenze alternative, ma obbligate a trovare un modus vivendi. Rispetto ai toni ruvidi di questi anni, qualcosa era già cambiato. L’America di Biden ha preparato il summit con accuratezza e con un approccio morbido. Toni meno antagonisti, raccolti da Pechino. Il presidente americano s’è mosso su un doppio binario: determinazione misurata sulla responsabilità. Il Biden che ieri ha incontrato Xi è lo stesso che, nel difendere il diritto di autodifesa di Israele, ha raccomandato a Netanyahu di non ripetere gli errori degli Stati Uniti dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Un po’ il realismo alla Kissinger e un po’ l’esercizio equilibratore del canone europeo. L’Europa è coinvolta per le strategie assertive di Stati revisionisti come Russia e Cina, unite dal voler indebolire l’Occidente, nel frattempo sfidato dal Sud globale. Il modello geopolitico ed economico del Vecchio continente, in particolare della Germania - la difesa proveniente dagli Usa, il grosso delle esportazioni a Pechino, l’energia a basso costo da Mosca - è finito.

La stessa Italia è in via di uscita dal rinnovo dell’accordo sulla Via della Seta firmato nel 2019 dal Conte 1. L’unico Paese europeo ad averlo sottoscritto e che aveva una connotazione politica, oggi non riproponibile perché la Cina, appoggiando l’invasione russa dell’Ucraina, ha compiuto una scelta anti europea. L’agenda Usa-Cina abbraccia l’universo mondo. Dalla questione sensibilissima di Taiwan al repertorio economico, che incrocia la sicurezza, dai social all’intelligenza artificiale, dalle relazioni sempre più inquiete fra potenze medie emergenti e Occidente (meglio dire Occidenti). Fino all’Ucraina e alla guerra fra israeliani e palestinesi.

Il clima fra i due giganti ha perso qualche asprezza di troppo. La marcia di avvicinamento fra i due leader non archivia il confronto, ma sembra puntare a un dialogo che definisca il perimetro di ciò che è gestibile fra avversari. L’America, in questi mesi, ha rinunciato alla separazione dell’economia Usa da quella cinese (troppo costosa per tutti, visto che l’interscambio fra i due Paesi vale circa 700 miliardi di dollari) per mettere l’accento sulla riduzione dei rischi in un contesto di «interdipendenza nell’era dell’incertezza». C’è poi il versante mediorientale che la Cina frequenta con assiduità, essendo presente da anni in Africa e nel Mediterraneo. Ma che ora potrebbe essere chiamata ai doveri di una potenza che conta, proprio perché la contrapposizione in Medio Oriente tra due blocchi geopolitici, che in qualche misura corrispondono a quelli della guerra in Ucraina, alimenta una pericolosa escalation. La Cina, in sostanza, principale acquirente del petrolio iraniano, è disposta a porre i suoi buoni uffici per arginare l’espansionismo di Teheran, che continua a rappresentare un potenziale paracadute per il terrorismo islamico?

L’incontro di San Francisco è stato fra i leader di due Paesi giganti, comunque feriti, se non sulla china di un’apparente debolezza. Il «socialismo dalle caratteristiche cinesi» non incontra le fortune di un tempo. La crescita economica è rallentata e, per la prima volta dal 1998, la Cina ha registrato il primo deficit trimestrale di investimenti diretti esteri. Fra bolla edilizia, disoccupazione giovanile e deficit demografico a vantaggio dell’India in vena di sorpasso su tutti i quadranti nei confronti di Pechino, il modello riformatore degli anni ’80 è stato cancellato dal primato statalista del Partito comunista. Biden se la deve vedere con i repubblicani che, benché freddi sugli aiuti a Kiev, lo accusano di non essere stato in grado di contenere la Russia e di non essere sufficientemente antagonista della Cina. La guerra in Ucraina ha spaccato il partito repubblicano, il conflitto israelo-palestinese rischia di dividere i democratici. Biden ha bisogno di dimostrare che la sua politica estera (Cina, Russia, Medio Oriente) non solo è giusta, ma che ha un impatto concreto sulla vita degli americani. Sapendo che, con l’inflazione che c’è, gli elettori votano con il portafogli.

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