
(Foto di Ansa)
MONDO. La questione impropriamente definita del riarmo è forse la più importante oggi da risolvere in Europa, ma essendo scomoda, è emersa di prepotenza ed è poi quasi scomparsa dall’agenda.
Eppure, l’intenzione di Donald Trump di chiudere o almeno condividere l’ombrello protettivo sul continente pone una questione vera, al netto del nostro asserito parassitismo. Il problema c’è, grande e grosso. E allora c’è innanzitutto una domanda semplice: esiste un pericolo Putin (o di altri come lui)? Oppure bluffa e anzi rilancerà presto un patto di amicizia con un partito italiano, con tanto di maglietta sulla Piazza Rossa? L’Italia non è difesa dalla distanza. I missili possono arrivare a Ghedi, tra Bergamo e Brescia, base nucleare Nato, in pochi minuti. Parlare di questo con oggettività è complicato, perché parte subito uno stucchevole pacifismo tutto propaganda, e i partiti numero due dei rispettivi schieramenti, Lega e 5 Stelle, fanno a gara su chi mette più burro nei cannoni. Bellissimo, piace a tutti, ma chi ha responsabilità il problema deve porselo.
Svezia e Finlandia sono pacifiste ma si stanno armando, la Polonia è già la terza potenza continentale, la Germania stanzia cifre enormi e vuole costruire bunker per un milione di persone. Il ministro Salvini ha un piano per attrezzare le metropolitane di Milano e Brescia come quella di Kiev? Troppo facile mettere in alternativa le armi con le cose buone e belle: carri armati o asili? Il ministro della Difesa Crosetto, che è una persona seria, ha calcolato che si misurano in pochi giorni le capacità di resistenza di un nostro Esercito sovranista. È giusto lavorare per la pace ed è significativo che Leone XIV abbia cominciato con la parola pace il suo primo discorso da Papa. Ma garanzie di non aggressione non ci sono. Vedasi vicenda Ucraina, per come è nata, e per come va avanti, con riferimenti etici sempre i più pericolosi.
Bloccata negli anni 50 dalla Francia, la difesa comune resta centrale perché è solo un Esercito comunitario di deterrenza, affiancato da una moneta unica e da un’economia sociale coordinata, che può evitare all’Europa il destino di parco giochi per cinesi, russi e americani. Bruxelles non ha le risorse che servono per questa precauzione. Il Bilancio presentato nelle scorse settimane prevede 131 miliardi per la difesa. È già tanto, se pensiamo che l’Ue può contare solo sull’1,26% del Pil dei 27. Von der Leyen è passata per guerrafondaia avendo evocato cifre sei-sette volte più grandi, ma è evidente che solo il ricorso a debito comune può dare una risposta. Per 70 anni abbiamo avuto la pace e ci siamo dedicati a sovvenzionare l’agricoltura e a dar spazio al più avanzato welfare della storia mondiale, che in Europa vale il 26,8% del Pil. Possiamo tagliare lì, dove i fondi già non bastano per sanità, assistenza, previdenza, istruzione? La soluzione è fare debito comune. Europeismo allo stato puro. Debito comune per la difesa non vuol dire però soltanto armi (che pure sono un comparto industriale importante per l’Italia). Nel Paese dei furbetti è sembrata un’astuzia destinare parte del famoso 5% Nato a infrastrutture, trasporti, comunicazioni, protezione civile, sicurezza energetica, ricerca e innovazione. È invece la chiave di volta. Di fronte all’aggressione altrui, o alla sua minaccia, non serviranno baionette a milioni, ma gli strumenti della tecnologia e dell’innovazione cibernetica. Nonché le stesse infrastrutture civili su cui si basa la vita di un Paese moderno.
Sarà la nostra nuova deterrenza, da utilizzare accanto all’indispensabile alleanza occidentale e agli euromissili, aggiornamento di quelli che negli anni ’80, sconfissero l’Urss solo esistendo, senza essere sparati. Ma occorre dare un bel saluto agli anacronistici mali di un’epoca contraddittoria: nazionalismo travestito da sovranismo, protezionismo, dazi e controdazi. Insomma, l’egoismo di chi si fa male da solo.
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