Sparigliare, l’obiettivo di Renzi e Calenda

Il commento. Prevede il sondaggista Fabrizio Masia che il neonato «Terzo polo» di Matteo Renzi e Carlo Calenda può contare su uno spazio politico che arriva intorno al 20% partendo dal 6, e quest’ultima è la semplice somma aritmetica delle attuali doti elettorali dei due partiti (ma attenzione: la storia dimostra che quando due partiti si uniscono, prendono insieme meno voti di quando erano divisi). Insomma, Masia ci spiega che in Italia c’è una voglia di centro piuttosto diffusa tra quanti non vogliono avere sulla testa né Meloni/Salvini né Fratoianni/Speranza.

«È pur vero che ormai gli italiani si sono abituati al bipolarismo che risucchia tutto» ricorda il politologo Giovanni Orsina della Luiss di Roma con una saggezza che anche qui si basa sull’esperienza. Del resto, ci sarà un motivo per cui finora nella seconda Repubblica il fantomatico «Centro» non è mai riuscito a diventare una realtà politica. «Infatti, perché il vero centro siamo noi di Forza Italia», spiega con argomentare interessato l’azzurro Antonio Tajani. Il quale però dimentica che la Forza Italia di cui parla lui è quella del Berlusconi imperante, realtà molto lontana da quella attuale in cui la creatura del Cavaliere perde pezzi qua e là (soprattutto verso Calenda: Carfagna, Gelmini, Brunetta, Osvaldo Napoli…) ed è in tale crisi da non poter più contestare come un tempo la leadership altrui, ieri quella di Salvini, mai sbocciata, oggi quella di Meloni, in procinto di vedere la luce.

Dunque questo appannamento della figura carismatica di Berlusconi (che tuttavia ha deciso di ricandidarsi al Senato, un po’ per dare una mano, un po’ per lavare l’onta della espulsione da Palazzo Madama per effetto delle sentenze di condanna e della legge Severino) in qualche modo apre alla speranza i sodali del neo-centro calendian-renziano, cioè a trazione di due leader notoriamente antipatizzanti ma di fortissimo impatto e pessimo carattere. A pensarci bene, è quasi un miracolo che quei due abbiano raggiunto un accordo tra loro, e ancor di più che Renzi abbia accettato di fare un passo indietro lasciando a Calenda il compito di guidare la campagna elettorale: da segnare negli annali un esempio di umiltà davvero imprevisto e imprevedibile.

Cosa si ripromettono i due dioscuri della formazione centrista, draghiana, atlantista, filo Nato, anti-Putin, ecc. ecc.? Fondamentalmente di sgarrettare il cavallo in groppa al quale Giorgia Meloni spera di arrivare a Palazzo Chigi, togliendole una certa dose di voti, appunto, centristi. A giudicare dalle reazioni irritate arrivate dal centrodestra e soprattutto Forza Italia, qualche effetto lo ha già avuto. In secondo luogo Calenda e Renzi sperano che, bloccando la vittoria del centrodestra proprio a un passo dal traguardo, si possa tornare ad un governo Draghi. Tutti sanno che il presidente del Consiglio tuttora in carica ha ripetuto mille volte che per lui la stagione di Palazzo Chigi si concluderà il giorno in cui consegnerà la simbolica campanella al suo successore: lo ha dichiarato anche all’ultima conferenza stampa, condita dal sarcasmo nei confronti dei partiti più prodighi di promesse elettorali. Però Calenda e Renzi sperano che il risultato delle urne sia così imbrogliato, che cioè non fornisca una maggioranza chiara, da indurre Mattarella a ridare l’incarico proprio a Draghi per una maggioranza di emergenza, l’ennesima. «In quel caso saremmo pronti a dare una mano» ripete Renzi ad ogni intervista. Chissà.

Per il momento i sondaggi non aiutano queste speranze: tutti gli istituti danno al centrodestra una maggioranza elettorale di oltre il 45% che si potrebbe tradurre nel 60% dei seggi alla Camera e al Senato, quasi sufficiente a fare in autonomia la riforma costituzionale in senso presidenzialista. Per aiutarsi in questa corsa ed evitare gli sgarrettamenti dei moderati, la Meloni si è decisa a pronunciare le parole «definitive» sul Fascismo e le leggi razziali del ’38 che tutti le chiedono da anni. Non è stata pesante come Gianfranco Fini quando fondò An («Fascismo male assoluto») ma ha pur pronunciato la sua «condanna senza ambiguità». L’ha detto in tre lingue in un video destinato alla stampa estera. Manca solo la versione in italiano, almeno per ora.

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