Sul lavoro,
ponte verso
l’autunno

Domani avrebbe dovuto esserci lo sblocco dei licenziamenti su tutto il territorio nazionale, finora vietati per legge per evitare le conseguenze straordinarie dell’emergenza Covid. Certo il lavoro non si può creare o congelare sulla carta in eterno e prima o poi bisognerà misurarsi con i mercati e le attività produttive: rimanere sempre sospesi, «spostare la notte più in là» come recita un verso famoso del poeta Tonino Milite, ha poco senso se non si ha una visione, un progetto, una strada da percorrere. Ma c’è modo e modo per atterrare, si possono fare manovre «morbide» anziché «brusche», in modo da attenuare il trauma dei licenziamenti dopo la fine della pandemia e del lockdown. Per questo la notizia di un accordo per una cassa integrazione straordinaria a zero ore finanziata da imprenditori e lavoratori per tutti i comparti dell’economia italiana è decisamente incoraggiante.

La coperta è corta e la via d’uscita prospettata era quella di privilegiare i settori del tessile e quelli contigui delle calzature e della moda mantenendo il blocco fino a ottobre. Per tutti gli altri, a cominciare dall’edilizia e dalla manifattura, niente proroga, era stato stabilito in un primo tempo. È certamente vero che in questo anno e mezzo alcuni comparti hanno sofferto di più mentre altri hanno subito meno danni e altri ancora sono cresciuti (come la logistica, anche se un po’ troppo impetuosamente e selvaggiamente, come dimostra il Far West in cui versa contrattualmente questo variegato universo). Ma non sarebbe certo una decisione equa «scaricare» i lavoratori di un settore per salvarne degli altri, come se ci trovassimo a bordo del Titanic, che aveva scialuppe insufficienti rispetto al numero dei passeggeri. Se dobbiamo parlare di licenziamenti forse la selezione andrebbe adottata con altri criteri, andando per esempio a verificare le condizioni familiari, il tenore di vita, le possibilità di sostentamento, la capacità di essere reintegrati nel mercato del lavoro, che come è noto è molto spesso connessa all’età. A questo proposito non è ancora all’orizzonte – anche se i tecnici del ministero del Lavoro stanno mettendo a punto diverse opzioni – alcun provvedimento di natura pensionistica, così da ammortizzare l’uscita anticipata dei lavoratori più anziani e facilitare l’immissione e il turnover dei giovani nel mercato.

Ancora una volta il coinvolgimento delle parti sociali (e non era scontato, altri governi hanno adottato politiche del lavoro tenendo fuori sindacati e imprenditori in decisioni importanti per la collettività) ha dato buoni frutti. Con un incontro «ostinato» a Palazzo Chigi tra governo e sindacati, il dialogo ha prevalso, sono stati aperti nuovi spazi di mediazione nel confronto sullo stop al blocco dei licenziamenti che appariva ormai privo di grandi spazi di manovra. I leader di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri avevano ribadito il no alla soluzione selettiva prospettata portando la loro proposta, rivolta direttamente a Confindustria: un impegno delle imprese a ricorrere in ogni caso a 12 o 13 settimane di cassa integrazione ordinaria a zero ore, prima di ogni decisione, rappresenta di fatto una proroga del blocco dei licenziamenti a ottobre per tutti, e non solo per i lavoratori della filiera del tessile e della moda.

Sia pure a distanza, il confronto è stato informalmente più ampio, con un filo diretto con via dell’Astronomia per chiudere il cerchio con Confindustria e arrivare così ad una soluzione definita e il più possibile condivisa alla riunione prevista per oggi. Parallelamente è proseguito anche il confronto tra le forze politiche della compagine di Governo.

La soluzione delle dodici settimane sembra una buona mediazione. Tra l’altro finora le aziende non hanno speso un centesimo per gli ammortizzatori sociali della Cig straordinaria Covid, interamente sovvenzionata dal governo, e una cassa integrazione «concertata» pagata con i soldi degli imprenditori e dei lavoratori per tre mesi è certamente sostenibile, in attesa che in autunno la ripresa si faccia più vigorosa, si comincino a spendere e a far fruttare i denari del Pnrr (che naturalmente non possono essere utilizzati per spesa corrente ma serviranno per mettere a punto riforme e infrastrutture, che significa posti di lavoro, si parla di 600 mila nuovi impieghi) e si mettano a punto quegli ammortizzatori sociali (come la riforma delle pensioni a 62 anni) in grado di garantire l’atterraggio «morbido» di tante persone.

E non è soltanto un problema morale e di dignità dei lavoratori: se la scure dei licenziamenti fosse caduta anzitempo rispetto all’autunno c’erano molte probabilità che il provvedimento si sarebbe trasformato in una vera e propria bomba sociale.

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