Sull’Ucraina l’Italia torna in primo piano: grana 5 Stelle

La telefonata di un’ora tra Mario Draghi e Vladimir Putin ha, in qualche modo, reso di nuovo visibile un ruolo del governo italiano che negli ultimi tempi della guerra russo-ucraina era sembrato abbastanza in secondo piano. In realtà, questo ruolo è già riemerso nei giorni scorsi quando gli ucraini hanno chiesto anche all’Italia di entrare in un gruppo di dieci Paesi che dovrebbero essere i garanti della sicurezza della nazione aggredita dall’armata russa in un ipotetico scenario di accordo tra i belligeranti.

A quanto riferiscono le fonti di Palazzo Chigi, Draghi avrebbe ribadito a Putin la richiesta di un cessate il fuoco e di tregua umanitaria confermando l’impegno del nostro Paese per la pace in presenza di segni concreti di de-escalation da parte dei russi. E poi ci sarebbe stata una discussione sul preteso pagamento in rubli del gas (adesso anche del mais e del petrolio) su cui nessun occidentale intende piegarsi.

Insomma Draghi si è posto in movimento dopo che per settimane avevamo visto l’attivismo di Macron e di Johnson, le consultazioni tra americani, inglesi, francesi e tedeschi che più volte ci hanno escluso. Al di là di Draghi, il cui prestigio internazionale non è evidentemente mai stato in discussione, alcuni sostengono che la nostra scarsa rilevanza sul palcoscenico della crisi bellica internazionale sarebbe dovuta anche alla inesperienza di un ministro degli Esteri come Luigi di Maio, ma è una spiegazione molto condizionata dalle partigianerie politiche interne e anche dalle divisioni del M5S. Le quali rischiano di complicare il quadro proprio per quel che riguarda la (apparentemente riguadagnata) presenza italiana. Le difficoltà poste a Draghi dal leader del M5S Conte sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil sono cosa nota a tutti gli osservatori, e anche la salita al Colle di Draghi dopo il gelido incontro di martedì sera con Conte è certamente un segnale inquietante. La frase del presidente del Consiglio: «Se non manteniamo gli impegni internazionali cade la ragion d’essere della maggioranza e del governo» è stata segnalata da tutte le ambasciate dei Paesi Nato che aspettano il voto al Senato sul decreto Ucraina (quello che autorizza l’invio di armi ai resistenti e incorpora l’ordine del giorno, presentato da Fratelli d’Italia e fatto proprio dal governo, che conferma l’impegno all’aumento delle spese per la Difesa) per vedere se si sancirà una spaccatura. Sugli impegni Nato Draghi, con il pieno appoggio di Mattarella, non arretra di un millimetro, e per questa ragione è verosimile che sfiderà le obiezioni di Conte e chiederà la conta alla sua maggioranza: chi vota a favore è in maggioranza, chi vota contro è fuori.

In questo quadro è ipotizzabile che il M5S si spacchi in due e bisognerà vedere se nei gruppi parlamentari sarà prevalente il gruppo che si riferisce a Conte o quello fedele a Di Maio. Il quale non a caso ieri ha tenuto lui ad annunciare la telefonata di Draghi a Putin: il ministro degli Esteri la sua scelta l’ha fatta da tempo e ci tiene ad apparire il meno ambiguo quanto ad allineamento con la Nato, gli Usa, l’Europa contro l’aggressione di Putin: ogni passata simpatia per il dittatore russo è stata accuratamente rimossa. Conte e i suoi corrono ad abbracciare il neutralismo pacifista che il 5 marzo scorso si ritrovò in piazza sotto la regia di Maurizio Landini: è più che evidente il tentativo di recuperare voti e frenare la emorragia di consensi anche a costo di rimangiarsi impegni Nato che Conte stesso ha per ben due volte confermato quando era presidente del Consiglio. Ma i voti valgono bene qualche astuta dimenticanza di cui Conte si è dimostrato maestro con pochi rivali.

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