Tra Mosca e Bruxelles
il gas porta temporali

L’impennata del prezzo del gas nasconde cambiamenti epocali in campo energetico, ma anche la ripresa delle ostilità geopolitiche a livello continentale. In inverno vi è il rischio di una crisi, che potrebbe ulteriormente modificare gli equilibri mondiali e – in caso di peggioramento della situazione – essere simile allo shock petrolifero agli inizi degli anni Settanta. Secondo alcune agenzie si potrebbe persino arrivare nei prossimi mesi al razionamento dell’«oro blu» a causa dell’eccessivo rincaro del suo prezzo con una perdita trimestrale dello 0,5% del Pil. Tanti sono i fattori che hanno provocato l’attuale scenario che rafforza l’aumento dell’inflazione a livello nazionale e pone nubi sul rapido recupero delle economie occidentali dopo la pandemia. Lo scambio di accuse reciproche tra Paesi ed esperti ha, però, solo reso l’atmosfera più elettrica sui mercati e ha favorito la speculazione.

Riuscire a soppesare tutti i fattori, che hanno determinato questa realtà, non è facile. Certo è che la scelta verde dell’Unione Europea ha favorito lo spostamento dell’attenzione dei grandi produttori di idrocarburi verso l’Asia, dove essi riescono a spuntare addirittura prezzi migliori rispetto a quelli nel Vecchio continente.

Al momento i livelli di stoccaggio Ue per l’inverno sono del 76% rispetto al solito 95%. La russa Gazprom è stata accusata di aver ridotto apposta le forniture nei mesi scorsi.

È così bastata una dichiarazione di disponibilità a maggiori approvvigionamenti da parte di Vladimir Putin per riportare temporaneamente qualche raggio di sole sui mercati, con rimbalzi consistenti del prezzo del gas. All’orizzonte, però, gli operatori finanziari ed energetici scrutano una possibile buriana tra Mosca e Bruxelles. I baltici parlano addirittura di «ricatto» del Cremlino.

Dopo un interminabile scontro, a cui hanno partecipato anche gli Stati Uniti che hanno a lungo imposto sanzioni, è stato appena completato il raddoppio del Nord Stream 2, una pipeline sottomarina che unisce la Russia alla Germania, aggirando l’Ucraina e gli stessi Paesi baltici.

Come si ricorderà Mosca e Kiev, sul cui territorio transitava in passato l’80% del metano russo per l’Ue, hanno combattuto due «guerre» del gas nel 2006 e nel 2009, quando l’Europa venne lasciata al freddo in pieno inverno.

Nei mesi passati il Cremlino si è impegnato a ridefinire il contratto di transito per l’Ucraina in scadenza nel 2024, ma, nei giorni scorsi, anche il gas per l’Ungheria ha aggirato la Repubblica ex sovietica ed è stato consegnato via mar Nero.

In sostanza, puntano il dito gli avversari del Cremlino, Mosca usa di nuovo l’arma degli idrocarburi con scopi geopolitici, anche per dividere i membri Ue. In ballo vi sono miliardi di euro.

Inoltre, secondo i suoi detrattori, la Russia vorrebbe che l’Agenzia europea desse subito - per adeguare i livelli di stoccaggio! - l’autorizzazione ad utilizzare il Nord Stream 2, e non, come pare, dopo la fine dell’inverno. Tale condotta non dovrebbe poi essere soggetta all’obbligo, imposto dalla Carta energetica Ue, di differenziazione tra il fornitore della materia prima e il proprietario della infrastruttura.

Il Cremlino, però, non può permettersi di pigiare troppo sul tasto della crisi. Da dopo la fine della Guerra Fredda, l’Europa ha mantenuto la sua dipendenza dall’approvvigionamento di materie prime da Mosca anche per garantirle capitali per adeguarsi all’economia di mercato.

In questa fase colpisce che gli americani, a lungo indicati come potenziali fornitori di gas alternativo, preferiscano guardare all’Asia.

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