Tra traffico, cantieri e soluzioni condivisibili

ITALIA. La cosa davvero spiazzante è che in questi anni le cose non sono cambiate, anzi forse peggiorate.

Quel «ogni minuto perso nel traffico è un danno economico reale per l’intera valle» di Confartigianato fa il paio con «i nostri prodotti perdono competitività appena varcano le soglie delle aziende» detto da un imprenditore seriano una decina d’anni fa. O forse erano quindici, se non addirittura venti, perché se è vero che il tempo corre veloce lo fa pure l’evoluzione tecnologica che costringe tutti a restare al passo per mantenere un livello accettabile di competitività. Il solo che pare segnarlo (a tratti inesorabilmente) il passo è il sistema infrastrutturale, purtroppo, visto che passano gli anni ma non il tenore delle rimostranze del mondo produttivo. Legittime, va detto.

Grandi opere non al passo con lo sviluppo

Con la giusta dose di realismo bisogna prendere atto che il tempo medio di realizzazione delle grandi opere - stradali o ferroviarie che siano - non va di pari passo con le esigenze di mobilità di un territorio che, nonostante tutto, continua a mantenere livelli di imprenditorialità e innovazione superiori alla media. Nello stesso modo va però accettato il fatto che il territorio non è una risorsa infinita, anzi in taluni casi la delicatezza dell’ambiente e la forte conurbazione l’hanno già resa finita. Ovvero non s’intravedono margini accettabili (e sostenibili) di realizzazione di interventi davvero risolutivi, soprattutto in certe zone vallari, ma non solo. E il discorso, anche in questo caso, vale sia per le strade che per le ferrovie o i tram, soluzioni sicuramente meno impattanti dal punto di vista dell’inquinamento ma non per l’inserimento in un tessuto urbanizzato. E chi si sta confrontando con i cantieri del raddoppio, del treno per Orio o della T2 lo sa benissimo.

Nessuna opera è a costo zero

Per farla breve, non esistono opere a costo zero, nè dal punto di vista economico né da quello ambientale. L’inserimento di qualsiasi infrastruttura è delicato a prescindere, con tutte le conseguenze del caso. Che il trasporto pubblico debba essere la priorità è indiscutibile, scontato e a tratti persino banale, ma come assicurare un servizio all’altezza con una rete stradale che di fatto ci mette tutti (senza distinzione tra pubblico e privato, ed è questo il punto) in coda ogni santo giorno è una sfida ben più complicata. E non si risolve a colpi di slogan di maniera, a maggior ragione in assenza di fondi e progetti e - dove ci sono- in presenza di tempi di realizzazione comunque medio-lunghi.

Anche per questo gli inviti a una collaborazione a tutto campo sul versante della regolazione della viabilità che arrivano dalla Valle Seriana sono da accogliere in toto. Stante le difficoltà e le prospettive (non brevi) sul versante delle infrastrutture si può - si deve - lavorare quantomeno sull’esistente, razionalizzandolo il più possibile per ottenere quei miglioramenti che, anche se piccoli, possono rivelarsi importanti in questo contesto. Un approccio che presuppone la capacità di fare tutti un passo indietro per provarne a fare due in avanti insieme, anche perché i risultati delle esperienze e delle decisioni prese in solitudine sono normalmente scarsi se non addirittura controproducenti.

Sulle opere e sui cantieri serve una regia condivisa

Se i primi risultati del verde fisso alla Martinella e dello spegnimento del semaforo di Colzate, per citare i due esempi fatti da Confartigianato, sembrano positivi vale la pena di continuare su questa strada, magari sperimentando ulteriori variazioni sul tema, laddove possibile. Analogamente andrà fatto con la massima attenzione per il quadrante sud del capoluogo, dove la contestualità dei lavori del treno per Orio (con chiusura, per ora solo rinviata, dell’omonima via), della nuova piazza di Campagnola e del sottopasso di via San Bernardino rischiano di avere conseguenze non da poco per il traffico. Per questo serve una regia condivisa e decisioni che vanno di conseguenza, pena il rischio di ritrovarsi ancora tutti fermi in una coda della quale si fa sempre più fatica a intravedere la fine. Che forse non c’è.

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