Tregua, spiragli azzerati: la giornata più «calma» è la giornata più brutta

Venerdì 1 aprile è stata la giornata in cui si è capito davvero che quella in corso, dopo l’invasione russa, non è una guerra tra la Russia e l’Ucraina ma una guerra tra la Russia e l’Occidente che si combatte in Ucraina. Sul terreno l’Ucraina resiste e manovra, recupera spazio e fiato intorno alla capitale Kiev grazie alle armi che le vengono fornite a getto continuo da Usa ed Europa.

Vladimir Putin reagisce con l’arma del gas: il decreto che ha firmato per imporre il pagamento in rubli, a dispetto dei contratti che prevedono euro e dollari, serve soprattutto a spaventare i Paesi europei con la minaccia del blocco delle forniture. La Ue sa benissimo che i 155 miliardi di metri cubi di gas importati ogni anno dalla Russia non sarebbero sostituibili nel breve temine, e forse nemmeno nel medio, e che comprare il gas liquefatto dai produttori americani, ansiosi di venderlo, costerebbe comunque un 20% in più. Nello stesso tempo, con il suo decreto Putin lancia un segnale a chi pensava che le sanzioni avrebbero stroncato la Russia: siamo abbastanza forti da sfidarvi ancora. Lo ammette persino un giornale russofobo come l’inglese Economist, sconcertato dalla resistenza del sistema economico russo. O Putin si sbaglia (e per i nostri media fa un errore clamoroso al giorno) oppure è davvero convinto di poter alzare ancora la posta.

Nelle stesse ore i leader dell’Unione Europea cercavano il dialogo con Xi Jinping, per convincere la locomotiva Cina a sganciare il vagone Russia. Non succederà, almeno non come gli europei vorrebbero. Pechino, la capitale più innamorata della globalizzazione, detesta questa guerra, che sconvolge i mercati e turba il già poco pacifico andamento delle relazioni commerciali. Al massimo, quindi, farà qualcosa «contro» il conflitto, non certo «per» l’Occidente. Meglio non farsi troppe illusioni.

Per tutte queste ragioni quella di ieri è stata forse la giornata più brutta di questa lunga sfilata di giornate orrende. Perché non si è vista una sola ragione per sperare in un accordo, se non altro in una tregua. Ucraina e Russia, ormai, combattono due battaglie parallele. Gli ucraini per allontanare la minaccia da Kiev e così ribadire che il Paese è vivo, resiste, si batte e non teme la sconfitta. I russi per allargare il controllo sull’Est e sul Sud, cioè sulle regioni strategiche che guardano verso la Russia e verso i mari e offrono una potenziale continuità territoriale con il Donbass. I due Governi, inoltre, cercano semmai di inasprire i rapporti. Mosca manda avanti le Repubbliche del Donbass, Lugansk e Donetsk, che già parlano di referendum per l’adesione alla Federazione russa. Kiev bombarda i depositi di petrolio di Belgorod, in territorio russo, con un gesto che sa di sfida e di beffa. Qualcuno può davvero credere che sia stato un gesto organizzato dagli stessi russi? Perché avrebbero dovuto farlo, visto che senza bisogno di provocazione alcuna hanno invaso l’Ucraina intera?

Roberta Metsola, presidentessa del Parlamento europeo, si è recata a Kiev e ha promesso che l’Europa aumenterà ancora le sanzioni contro la Russia. Ma il premier ucraino Shmygal, intanto, ha sollevato una questione di cui molti, nel mondo, si stanno già preoccupando, dall’Organizzazione mondiale del commercio ai leader dei Paesi del Medio Oriente. Ovvero che la guerra tra Russia e Ucraina possa innescare una crisi alimentare globale, essendo questi due Paesi decisivi sui mercati dei due generi che, nei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, formano le prime categorie di spesa: i carburanti e i cereali. I problemi si accumulano e non pare proprio che le delegazioni russa e ucraina, che si parlano via computer, possano dire, ora, una parola importante.

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