Ucraina, il genocidio di Stalin da ricordare

Mondo. Nell’acceso e talvolta sbragato dibattito sulle origini del conflitto tra Mosca e Kiev, viene fatto riferimento anche alla figura di Stepan Bandera, che durante la Seconda guerra mondiale, alla guida del movimento nazionalista ucraino Oun, fondò l’esercito partigiano Upa: combatté prima contro i polacchi, poi si oppose all’Armata rossa al fianco dei nazisti e infine si rivoltò agli stessi tedeschi.

Tanto basta per gettare discredito sul popolo aggredito e sposare più o meno consapevolmente la propaganda putiniana. Uno degli obiettivi dell’invasione, dichiarato dal Cremlino, è infatti la «denazificazione» dell’Ucraina, ribadito ieri dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Un intento falso e ridicolo, se non fosse tragico. Dal 2015 nel Paese aggredito è in vigore una legge che ha messo al bando le organizzazioni politiche naziste e la relativa propaganda. Alle ultime elezioni parlamentari ucraine, nel 2019, il cartello di partiti di estrema destra ha raccolto solo il 2,3% e ha un solo deputato in Aula.

Non viene invece mai menzionato l’Holodomor, nome con il quale si designa il genocidio per fame di oltre 6 milioni di persone, perpetrato dal regime sovietico, a danno della popolazione ucraina negli anni 1932-1933: 25mila morti al giorno, 17 al minuto, uno su tre era bambino o neonato. Gli ucraini subirono una terribile punizione, perché accusati di contestare il sistema della proprietà collettiva. Tutte le risorse agricole furono requisite e un quarto della popolazione rurale, uomini, donne e bambini sterminata per fame. I cadaveri giacevano per strada senza che i parenti, anch’essi ormai in fin di vita, avessero la forza di seppellirli. La carestia determinò, insieme all’annientamento dei contadini, lo sterminio delle élites culturali, religiose e intellettuali ucraine, tutte categorie considerate «nemiche del socialismo». Tra i provvedimenti presi, l’introduzione di quote enormi del raccolto di grano destinate all’ammasso (requisizione da parte dello Stato), il sequestro di tutti i generi alimentari, il divieto di vendita degli stessi, lo spiegamento delle truppe interne e di confine per impedire agli affamati di spostarsi in altre regioni dell’Urss in cerca di cibo. A causa della realizzazione di queste e altre misure repressive, la popolazione ucraina si ritrovò prigioniera in un enorme ghetto.

Il 27 dicembre 1932 venne imposto l’obbligo del«passport», destinato agli spostamenti interni, per bloccare le disperate fughe dalle zone colpite dalla carestia e il 22 gennaio 1933 un’altra circolare, firmata da Stalin e Molotov, impedì con ogni mezzo (dalla sospensione della vendita dei biglietti ferroviari a veri e propri blocchi stradali) ai contadini ucraini e del Caucaso settentrionale di uscire dai distretti in cui non c’era più nulla da mangiare. Il grande scrittore Vasilij Grossman, ebreo ucraino russofilo, autore del romanzo capolavoro «Vita e destino», raccontò il genocidio anche nei dettagli più macabri, come gli atti di cannibalismo da parte dei sopravvissuti.

Il 29 novembre 2006 il presidente ucraino Viktor Yushchenko firmò la legge che definisce l’Holodomor un evento provocato, e poi sfruttato, in base a una precisa e dimostrabile scelta politica. La legge ha proclamato il quarto sabato di novembre Giorno del ricordo per commemorarne le vittime. Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di condanna dell’Holodomor come «spaventoso crimine contro il popolo ucraino e contro l’umanità». Attualmente è stato riconosciuto come atto di genocidio dai Parlamenti di 24 Stati, tra i quali Argentina, Australia, Canada, Estonia, Georgia, Ungheria, Lituania, Polonia e Stati Uniti. L’Italia non si è ancora espressa in merito. In settimana il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, dal palco dell’assemblea nazionale dei sindaci riuniti alla Fiera, ha chiesto che anche il nostro Paese riconosca e onori le vittime dell’Holodomor.

In Ucraina la memoria del genocidio si tramanda di generazione in generazione. Così come è vivo il ricordo dei gravi errori all’origine e della pessima gestione del disastro di Chernobyl, l’incidente nucleare avvenuto nell’allora Urss (oggi la città è ucraina) il 26 aprile 1986. Quando Putin, nel 2005 e nel dicembre 2021, disse che «la fine dell’Unione Sovietica è stata la più grande tragedia geopolitica della storia», l’affermazione ha un suono sinistro alle orecchie degli ucraini. Il presidente russo non rimpiange il comunismo (lui è un autocrate reazionario) ma l’estensione geografica dell’impero e un mondo diviso in blocchi e sfere di influenza ormai tramontato. Un lutto non elaborato. Ma se l’Urss non è ricomponibile, vuole invece «denazificare» uno Stato non certo governato dal nazismo. E c’è chi casca in questa propaganda.

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