Ue, i futuri equilibri tra Francia e sovranisti

ESTERI. La Francia, con le periferie messe a ferro e fuoco, rischia di tradursi nella grande opportunità che Marine Le Pen insegue da anni e questa polveriera indebolisce ulteriormente il discusso Macron, che guida il fronte europeo ostile alla destra radicale.

L’ungherese Orban e il polacco Morawiecki, i due bastian contrari reduci dall’opposizione al nuovo patto Ue sull’immigrazione, vedono nel dramma che scuote Parigi nient’altro che l’esito del lassismo di Bruxelles nella gestione dei flussi umanitari. Questo è il brutto clima che si respira ed è necessario domandarsi dovrà andrà a parare l’Europa che abbiamo, che va un po’ avanti e un po’ indietro, stretta fra società rivendicative, partiti storici in lento declino e forze dirompenti che potrebbero emergere (o riemergere). Uno scenario critico se verrà confermata la costante crescita delle formazioni oltranziste, in un tornante storico in cui il cordone sanitario contro le estreme è stato di fatto eliminato: dalla Svezia alla Spagna, passando dalla Germania dove l’estrema destra è data in fase di rilancio. In pratica è già iniziata la campagna elettorale per le elezioni europee dell’anno prossimo, in cui sarà centrale il giudizio sul ruolo dello Stato-nazione rispetto alla comunità sovranazionale che raggruppa i 27 Paesi dell’Unione.

Là dove il sommarsi dei tanti choc di questi anni ha ribadito che non si può garantire la sicurezza sociale collettiva se ogni Stato pensa a se stesso e se l’opportunismo prende il posto della convivenza solidale. Al recente vertice europeo la solidità dell’alleanza sovranista è stata smentita dalla stessa Giorgia Meloni, che in teoria dovrebbe rappresentarne la riscossa e proprio su un tema identitario, come la gestione dei flussi migratori, che ha fatto la fortuna dei populisti: il nazionalismo dei soliti noti (Ungheria e Polonia, entrambi sanzionati dall’Ue per violazione dello Stato di diritto) danneggia l’interesse nazionale dell’Italia. Neppure è valso il vincolo di partito, perché il veto è giunto dal premier polacco che in Europa sta con il raggruppamento dei conservatori guidato da Meloni, finita nella morsa dei due amici.

La premier italiana, collocandosi dalla parte giusta nel fare di necessità virtù, ha toccato quindi con mano quanto la condivisione fra sovranisti sia perlomeno problematica e che il suo progetto di ribaltare l’attuale maggioranza (popolari, socialisti, liberali) con l’alternativa di destra (popolari e conservatori) sia per il momento sospeso fra un’ipotesi tutta da costruire e un’avventura a rischio azzardo. Servono i numeri che allo stato non paiono esserci e al dunque i voti decisivi potrebbero essere proprio quelli dei liberali di Macron, l’avversario dichiarato delle destre radicali. Idea, quella di Meloni, sulla quale è convenuto ieri Salvini con un proprio «campo largo», estendendo cioè il rassemblement anti sistema al suo gruppo europarlamentare che comprende Marine Le Pen e l’estrema destra tedesca. Nella sua marcia per accreditarsi presso le cancellerie, Meloni gioca su due tavoli: quello di premier di un Paese tra i soci fondatori dell’Europa e quello di leader dei conservatori all’assemblea di Strasburgo. Per quanto il suo rapporto con Bruxelles sia in chiaroscuro, fa parte a pieno titolo dell’establishment, quindi con onori e oneri. Alternando attacchi e diplomazia, parole ruvide e impronta istituzionale, un po’ di lotta e un po’ di governo: un doppio registro che è la cifra con la quale alimenta la propria immagine e il tratto ideologico nella distanza che separa il proprio elettorato tradizionale dai vertici Ue. Se l’intento del ribaltone è dichiarato, bisognerà guardare alle elezioni in autunno più in Polonia che a quelle di questo mese in Spagna, perché il duro confronto a Varsavia è fra il partito di governo alleato di Meloni e l’opposizione che in Europa è nella famiglia dei popolari: divisi in casa e davvero insieme a Bruxelles?

C’è infine la variabile della guerra in Ucraina che ha frantumato il Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia): nato come coordinamento dei Paesi dell’Est, s’era trasformato in una forza d’urto nei confronti di Bruxelles. Varsavia e Budapest sono su fronti contrapposti e la Polonia, schieratissima con l’Ucraina, ha recuperato quella reputazione che aveva perso per le sue controverse politiche interne. Lo spostamento del centro di gravità dall’asse franco-tedesco verso Est crea uno scenario inedito e nel frattempo stabilisce un nesso imprescindibile fra Europa e Nato, un sodalizio euro-atlantico più forte rispetto al passato. La sponda americana per contare di più a Bruxelles, che significa pure dipendenza geopolitica con tutto quel che ne deriva, è stato un cambio di passo che Draghi aveva colto ed è compreso dalla stessa Meloni. Ma i problemi in termini di affidabilità, per lei e per l’Italia, verranno dall’Europa, non dagli Stati Uniti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA